Dai reparti speciali al volontariato
La nuova missione dell'ex carabiniere

Alberto Lazzeri, un passato da infiltrato nelle operazioni più delicate, lasciò l'Arma dopo l'arresto per tentata concussione e il processo al disciolto gruppo del Ros di Bergamo. È ripartito da zero in Kenia ed è tornato per scontare un affidamento ai servizi sociali.

«Lo sai che ogni volta che esco da quel reparto io non cammino, volo». Lo riempie d'orgoglio la sua nuova missione speciale: imboccare vecchietti, portarli a spasso sulla carrozzina, starli a sentire, provare a decifrare le parole che piovono dalla loro nube di demenza senile. Non c'è più da infiltrarsi come al tempo del Ros (il Reparto operativo speciale dei carabinieri), non ci sono più da maneggiare pistole e microspie, fingersi criminali di vaglia, gestire doppi giochi sempre sul filo dell'adrenalina. Qui si armeggiano al massimo posate e apparecchi Amplifon e il rischio maggiore è di lasciar passare un numero alla tombola del pomeriggio.

Niente fuga dopo la condanna
Dicevano che se ne fosse scappato in Kenya, Alberto Lazzeri, 47 anni, per fuggire ai suoi guai giudiziari, lui, ex maresciallo dell'Arma condannato in primo grado a 6 anni e due mesi nel processo al disciolto gruppo del Ros di Bergamo, graziato dall'indulto per due volte (due anni e mezzo per concussione e 10 mesi per favoreggiamento a un latitante), inseguito da una condanna definitiva a un anno, due mesi e 9 giorni per essersi procurato illegalmente dei tabulati telefonici. Ma, alla faccia delle malelingue, lui alla fuga non ci ha mai pensato. Dall'estate scorsa è tornato in città per scontare un affidamento in prova ai servizi sociali dovuto alla sentenza passata in giudicato, lasciando temporaneamente Mombasa e il suo ristorante italiano con 30 dipendenti (ha affidato la gestione al direttore). «La pena è iniziata il 12 marzo scorso - racconta Lazzeri -, ma già a dicembre, dopo aver frequentato un corso dell'Avo (Associazione volontari ospedalieri, ndr), mi sono messo a disposizione dell'istituto Don Orione». Anche stavolta, come quand'era nell'Arma, è finito in uno dei reparti più tosti: «Quello dove ci sono gli anziani che non sono più in grado di camminare, né di mangiare da soli, spesso affetti da demenza senile. Per il tribunale di sorveglianza sarebbe bastata una giornata la settimana, ma ho scelto di farne due. E, se potessi, ci starei a tempo pieno. Ho scoperto un mondo e sono felicissimo. Ho vissuto una vita al limite, ora ho rimesso i piedi a terra e ho riscoperto tante cose di me». C'era una volta il maresciallo apprezzato per la sua abilità di infiltrato, esperto nelle indagini e nel monitoraggio dell'eversione internazionale, voluto dalla Dda per le inchieste più delicate: droga, ma soprattutto armi. Lazzeri era un agente sotto copertura coi fiocchi, girava con 4 cellulari e le microspie appiccicate sotto la camicia, bazzicava operazioni come la «Leon» (recuperati bazooka, mine anticarro e bombe a mano provenienti dai Balcani), «Red Skorpion» dove s'infiltrò in un'organizzazione di ex poliziotti e militari serbi (sequestrate mitragliette e armi silenziate destinate al mercato milanese), la Cedro Uno, quella sulla raffineria di Pescara che lo farà finire nei guai con colleghi e superiori, accusati di aver condotto illegalmente operazioni contro il narcotraffico internazionale («Ma ho la coscienza a posto, seguo le udienze con serenità e la consapevolezza di non aver commesso illeciti e di aver lavorato con investigatori della massima correttezza», obietta lui).

«Coi miei nonnini sto bene»
C'era una volta un tipo così, sangue freddo, circospezione, stress, pelo sullo stomaco. «Adesso sto con i miei nonnini - dice -. Ti raccontano storie non sempre comprensibili, sono dolci come bambini e ti danno entusiasmo. Anch'io racconto storie, loro non capiscono sempre, ma vedo che sono felici che ci sia qualcuno che si occupi di loro, che li tratti come persone normali. C'è una signora di 80 anni che fatica a parlare, ma si diverte a toccarmi le mani; io ricambio dandole delle carezze. È un po' gelosa, perché se vado da un altro, mi riprende: "Sta ché amò 'n pó (stai qua ancora un po', ndr). Alcuni li trovo in portineria ad aspettarmi, come i bimbi sulla porta di casa quando arriva il papà». Chi l'avrebbe detto? Lui, perennemente immerso nel lavoro, che quando l'incrociavi per strada non sapevi se salutare o far finta di ignorare perché pareva sempre appostato per catturare qualcuno. «Sono sincero, a volte mi ritrovo a rimpiangere il lavoro - sospira -. La divisa era tutto per me. Negli ultimi anni ho sempre lavorato in borghese, ma avrei voluto tornare a fare il carabiniere in uniforme. Non avrei mai cambiato vita». Invece, ecco che nel dicembre 2005, mentre è sotto inchiesta a Milano per le operazioni anti-droga del Ros, finisce in manette con l'accusa di aver cercato di estorcere soldi a un imprenditore, cui aveva dato appuntamento in un bar di piazza della Libertà. «Stavo cercando di arrivare a un ricercato tramite quell'imprenditore - è la sua versione - e, bluffando per metterlo sotto pressione, gli ho detto che sapevo delle irregolarità della sua ditta e che se non avesse parlato avrei rivelato tutto alla Finanza. Lui a quel punto mi ha supplicato: "Se non dici nulla ti dò tanti soldi". Sono stato zitto, è stata una superficialità da pirla. Fossi stato sano di mente, avrei dovuto arrestarlo per tentata corruzione. Invece, quello era un periodo difficile: ero sotto inchiesta, nonostante continuassi a partecipare alle operazioni della stessa Dda milanese che mi stava indagando. È stato un momento di debolezza. Poi, mi è crollato il mondo addosso».

Il futuro in Kenya
Lazzeri finisce ai domiciliari per sei mesi, si dimette dall'Arma ed è in questo momento che matura la decisione del Kenya. «Ha influito il processo di Milano che non finiva più (è ancora in corso, siamo in appello, ndr) - confida -. Ho provato a stare a Bergamo. Ma vedevo alcuni vecchi colleghi che cercavano di evitarmi, vedevo alcuni dei tanti amici che avevo aiutato che mi voltavano le spalle. Gli unici che sono venuti a suonarmi il campanello di casa per chiedermi se avevo bisogno di qualcosa sono stati 4 delinquenti che avevo arrestato in passato. Mi sono detto: meglio ricominciare da zero». È il 2006, Lazzeri rimugina sul futuro. «Ho deciso di rifarmi una vita in Kenya, ma non perché, come maligna qualcuno, è più difficile l'estradizione - sorride amaro -. Laggiù ci andavo in vacanza sin dal '98. Ho preso in gestione un ristorante che è diventato il punto di riferimento di Njali, quartiere residenziale di Mombasa. Ci si viene per mangiare, ma fa anche da punto di ritrovo, con spettacoli, concerti, serate culturali e di gala. Nel 2011 sono entrato a far parte della "Chaine des Rotisseurs", in pratica il Rotary della gastronomia; in più sono pure importatore del vino bergamasco. In Kenya mi sono rilassato, non devo dare spiegazioni a nessuno, anche se tutti sanno che cosa ho alle spalle».

«Se mi condannano non scappo»
L'ex sottufficiale a Mombasa è diventato anche un personaggio, per via della voce da tenore. «Tengo concerti, anche davanti a centinaia di persone, canto Bocelli e altro. Lo faccio per passione». Dice che in Kenya tornerà, ma non per fuggire. «Il processo del Ros non mi fa paura. Ma se venissi condannato - assicura -, resterei in Italia, non mi faccio nemmeno un quarto d'ora da ricercato. Ho smesso l'uniforme, ma la divisa morale me la porto addosso ancora». Intanto, i suoi vecchietti stanno ad aspettare alla portineria l'uomo che racconta storie ed è felice di ascoltarli. Non sanno da dove viene, ma sanno a che ora arriva.

Stefano Serpellini

© RIPRODUZIONE RISERVATA