L'intervista all'ex premier Prodi
«Duro resistere a mister Spread»

Per Romano Prodi quello di Bergamo, venerdì 12 ottobre, è forse il suo ultimo appuntamento nazionale. L'ex presidente della Commissione europea ed ex premier parla al centro Congressi. Un intervento su «Le sfide della crisi italiana ed europea».

Per Romano Prodi quello di Bergamo, venerdì 12 ottobre, è forse il suo ultimo appuntamento nazionale. L'ex presidente della Commissione europea ed ex premier parla al centro Congressi di viale Papa Giovanni, con inizio alle 18. Un intervento su «Le sfide della crisi italiana ed europea». L'incontro è organizzato dal settore Cultura della diocesi di Bergamo.

Nei prossimi giorni per Prodi si aprirà un orizzonte nuovo. Da New York è arrivato l'annuncio ufficiale del suo nuovo impegno di inviato nel Sahel a nome del presidente delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. L'Africa è da sempre al centro degli interessi del presidente. Nel 2008 fu incaricato di stendere un rapporto sull'organizzazione delle missioni di peacekeeping nel Continente nero e sul ruolo potenziale dell'Unione africana, l'omologo dell'Unione europea.

«Mentre il primo era un rapporto di analisi - spiega -, questo sarà un lavoro sul campo come inviato dell'Onu nella zona più critica del Continente. La tensione più forte esiste nel conflitto separatista che c'è in Mali. La settimana prossima sarò a Bamako, la capitale: lì comincerà la mia missione di fronte ai rappresentanti di tutti i governi interessati per riflettere sui problemi di carattere politico e di sviluppo di questa zona. Un'area tragicamente povera, con problemi di sicurezza aerea. L'incontro a Bergamo avviene proprio alla vigilia di tutto questo».

Per venire ai fatti di casa nostra, c'è più corruzione nel Continente Nero o in Italia? Le classifiche internazionali sulla corruzione percepita spesso ci collocano dietro molti Stati africani, come il Ruanda, il Ghana e la Namibia.
«Da noi la corruzione è molto profonda ed è uno dei drammi del nostro Paese, anche se non dobbiamo dar troppo retta alle classifiche internazionali. In Africa la corruzione è purtroppo diffusa e pervasiva. In molti casi è stata proprio la corruzione a creare tensioni e rovina in situazioni politiche che potevano essere affrontate e risolte in modo positivo. La corruzione è comunque uno dei veri grandi problemi dell'Africa».

La crisi globale che stiamo vivendo anche in Italia sta facendo emergere l'insufficienza delle singole sovranità nazionali e l'esigenza di forme sempre più vaste di coordinamento, di controllo sovrastatale e di collaborazione in sede europea e mondiale. Eppure quei pochi organismi sovranazionali esistenti, come le Nazioni Unite, si dimostrano deboli.
«È tragicamente vero. Pensiamo non solo a quante volte l'Onu negli ultimi anni è stata contestata e non obbedita dalle grandi potenze. Ma pensiamo anche quanto è difficile l'organizzazione sovranazionale tra Paesi molto più omogenei fra di loro, come in Europa. La ricerca di un livello di sovranità superiore a quello degli Stati è molto difficile, ma è più che mai indispensabile per la sopravvivenza del Vecchio Continente. Questo obiettivo è difficile, proprio perché la sovranità dei singoli Stati viene ritenuta sacra».

Si dice che l'Italia in tempi di spread più che essere guidata dalle nostre istituzioni nazionali, come il governo, obbedisca a centri decisionali europei: la Bce, la Commissione di Bruxelles.
«Le rispondo con una battuta: magari fosse così. Il problema della sovranità è cominciato ben prima del governo Monti. Di fronte alla forza, alla grandezza e alla velocità di movimento della finanza internazionale e della speculazione, ben pochi governi nel mondo conservano la propria sovranità. Non è un problema dell'Italia, nemmeno dei Paesi membri dell'euro. La stessa Inghilterra è stata costretta a fare politiche molto più restrittive di quel che poteva fare, proprio per la paura di attacchi speculativi ai propri titoli pubblici. Magari fosse un problema limitato ad alcuni Paesi».

Non si salva nessuno?
«Di fronte ad un attacco in grande stile delle locuste della speculazione internazionale oggi forse ci sono solo gli Stati Uniti e la Cina che possono resistere. Il paradosso è proprio questo: noi italiani possiamo riacquistare la nostra sovranità solo se la mettiamo insieme agli altri Paesi europei, costruendo una forza paragonabile agli Stati Uniti e alla Cina. In un mondo multipolare dobbiamo trasformarci in una potenza europea».

Qual è la sua lettura di quel che è accaduto in Italia dall'inizio dell'azione guidata dal governo dei tecnici di Mario Monti, che è stato uno dei suoi commissari al tempo in cui lei era presidente della Commissione di Bruxelles?
«La situazione è molto chiara. Per sette anni il debito sovrano italiano è stato messo perfettamente in sicurezza. Quando ho lasciato la guida del governo lo spread, ovvero la differenza tra i Bund tedeschi a dieci anni e i nostri titoli di Stato, era a 34, cioè del tutto trascurabile (oggi è a 364, ndr)».

Che è successo negli anni successivi per provocare la crisi greca e lo smottamento dei debiti pubblici dell'Europa meridionale?
«È accaduto che la grande crisi e la disunione europea hanno scatenato la speculazione internazionale contro i Paesi più deboli: prima la Grecia, poi l'Irlanda e il Portogallo, quindi la Spagna, successivamente l'Italia. Domani può toccare alla Francia e anche alla Germania. Nessuno Stato è forte abbastanza da resistere da solo agli attacchi speculativi. Questo è un grande problema, perché cambia la natura dello Stato. Io ripeto spesso scherzosamente che i Paesi europei sono governati da un unico primo ministro: Mister Spread».

Il suo successore Berlusconi non ne ha colpa, dunque?
«Per essere discreti, diciamo che Berlusconi ci ha messo del suo. Per fortuna Monti è riuscito in qualche modo a tamponare il grande attacco del Leviatano della speculazione. Ma la soluzione non può avvenire con lo sforzo di un singolo Paese. Occorre uno sforzo comune, il cambiamento della politica europea. Monti ha evitato il disastro, gli siamo molto grati. Ma il riallineamento degli spread europei ante crisi potrà avvenire solo con una politica europea comune».

Eppure con il governo Berlusconi si era verificata la sostanziale tenuta dei conti pubblici.
«Il governo Berlusconi era partito con buoni propositi, ma sono stati i comportamenti, che hanno destato la sfiducia da parte degli altri Paesi e dei mercati finanziari. Ai quali si sono aggiunti seri problemi d'immagine».

Qual è stato il punto di più basso per l'immagine dell'Italia?
«Certamente la famosa occhiata di derisione che si sono scambiati in conferenza stampa Sarkozy e Merkel. A torto o a ragione, eravamo ufficialmente un Paese deriso».

Lei ha sostenuto recentemente che c'è una questione morale in Italia che sta erodendo le basi della nostra democrazia.
«La questione morale è rilevante non solo in Italia, ma in molti Paesi europei. In Italia ha assunto tuttavia una dimensione molto più profonda e diffusa. Quello che colpisce è questa sorta di presenza capillare ed endemica del fenomeno, che ha toccato anche i governi locali. Questo, secondo me, è uno dei problemi più seri del nostro Paese. Non mi stanco di ricordare che tutto ciò ci danneggia moltissimo, insieme al cancro della criminalità organizzata. È non solo una questione morale ed etica, e di legalità, ma ha altre conseguenze».

E che altro?
«Le mafie isolano l'Italia di fronte agli investimenti stranieri. Le aziende estere hanno difficoltà a immettere capitali nel nostro Paese, al Sud in particolare, proprio per via di questi problemi».

Un'ultima domanda. Si parla spesso in questi mesi del fatto che i cattolici debbano fare massa critica per superare la loro sostanziale irrilevanza in campo politico.
«I cattolici devono essere massa critica o lievito? Il Vangelo parla di lievito. È quello che ho sempre pensato e che cercavo di mettere in atto quando guidavo la coalizione dell'Ulivo. Questo era il mio disegno. Un intento, debbo dire, che non è stato purtroppo possibile realizzare».

Francesco Anfossi

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