Profughi, la scuola non si tira indietro
Per legge porte sempre aperte a tutti

Come si pone, di fronte al problema profughi, il mondo della cultura? Che cosa fanno le istituzioni che hanno a che fare con l’educazione? Per il rettore dell’università, Remo Morzenti Pellegrini «l’ondata migratoria trova le sue radici nella necessità di chi ha solo quella via per sfuggire a situazioni di gravissime».

«L’immigrazione, per quanto possano essere rafforzati controlli e criteri di selezione, è di fatto non contenibile. Occorre quindi una discussione equilibrata e pragmatica dei problemi che l’accompagnano».

Il fenomeno migratorio, in bilico tra problema e opportunità anche per i Paesi ospitanti, deve essere affrontato fuori dall’emergenza. «I Paesi che accolgono i migranti non possono non porsi il problema delle cause di quei flussi, adoperandosi fattivamente per la loro rimozione o, almeno, attenuazione». L’università può collocare il suo contributo, in questa linea, senza uscire dal suo ambito di competenze aiutando ad aprire un dialogo più intenso con i Paesi terzi, anche se, mancando una politica migratoria europea organizzata e coordinata il fenomeno è più subìto che regolato.

Il mondo dell’istruzione, sostiene la dirigente dell’Ufficio scolastico, Patrizia Graziani, «si occupa di immigrazione da almeno 15 anni. La scuola per legge ha sempre accolto tutti i minori stranieri, anche se figli di clandestini o irregolari. Ci siamo attrezzati man mano, con il lavoro nei singoli istituti ma anche inventando prima gli Sportelli stranieri e poi i Cti, i centri territoriali per l’integrazione a cui afferiscono tutti i temi e le risorse didattiche per aiutare le scuole a includere».

L’arrivo ora dei profughi, quasi tutti uomini, riguarda più il sistema dei Cpia, i centri per l’istruzione degli adulti che sono disseminati sul territorio e fra l’altro organizzano già i corsi di italiano necessari per ottenere il permesso di soggiorno. «La scuola continuerà a fare la sua parte e a collaborare ai tavoli interistituzionali - conclude il provveditore Graziani - ma proprio sulla scorta della nostra esperienza posso dire che quanto più l’accoglienza è diffusa, tanto più i processi di avvicinamento e inclusione sono accettati e gestibili».

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