Punita per la malattia: madre
licenziata dopo 3 interventi chirurgici

«Ignorantia legis non excusat». È vero, ignorare una legge non scusa chi non la osserva. Però ci sono delle situazioni per le quali sarebbe più giusto ricorrere al buon senso.

È il caso della signora 47enne residente nell’hinterland di Bergamo, che, dopo 23 anni di onesto lavoro, è stata licenziata da un’importante associazione di categoria al termine di un periodo passato tra sale operatorie per tre interventi chirurgici, relative convalescenze, e rientro al lavoro. Una storia particolare, che colpisce una lavoratrice che è anche mamma di due ragazzi, uno dei quali gravemente disabile.

Proprio per assistere nel migliore dei modi il figlio colpito da una grave malattia degenerativa, sia lei (circa dieci anni fa, rinnovato di anno in anno) sia il marito (qualche anno fa) hanno chiesto di lavorare part-time. Un grosso sacrificio economico, ma quando ci sono di mezzo dei figli che hanno bisogno d’aiuto si fa di tutto.

«Ritengo il mio licenziamento assolutamente ingiusto – dice con amarezza la signora –. Ho sempre lavorato duramente, non ho mai ricevuto osservazioni, in 23 anni sarò stata a casa per malattia forse una decina di giorni. Invece sono stata messa alla porta perché, questa sarebbe la mia «colpa», avendo subito tre interventi chirurgici per la rottura della caviglia in tre parti diverse, ho superato i giorni di malattia previsti dalla legge. Però durante i miei guai fisici io ero rientrata al lavoro, i miei dirigenti sapevano la mia situazione, per la quale c’erano dei referti e degli esami che parlavano chiaro».

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