«Esselunga non è in vendita»
Parola di Giuliana e Marina Caprotti

Mandano una breve nota ai quadri e dirigenti del Gruppo e mettono a tacere tutte le voci di possibili vendite di Esselunga di queste ultime ore.

Esselunga non è in vendita. «In relazione ai recenti articoli di stampa desideriamo precisare a tutti Voi che l’Azienda non è in vendita». È quanto si legge in un messaggio inviato ai quadri e dirigenti del gruppo Esselunga e sottoscritto sia da Giuliana Caprotti, presidente onoraria di Esselunga, che dalla figlia Marina, vicepresidente, titolari del 70% del gruppo della grande distribuzione.

La nota arriva dopo che nella giornata di giovedì si vociferava che Esselunga fosse entrata nel mirino dei cinesi di Yda Investment Group. Una lettera con la manifestazione d’interesse e l’offerta da 7,5 miliardi di euro sarebbe stata messa sul tavolo di Supermarkets Italiani e di Villata Partecipazioni, così come dei soci, gli eredi di Bernardo Caprotti. Giuliana Albera e Marina Caprotti, che hanno il controllo del gruppo, però hanno sempre detto di non voler vendere e l’orientamento non sarebbe cambiato.

Ad aprile il riassetto nei vertici, seguito a quello azionario, ha visto Marina Caprotti assumere la carica di vicepresidente della holding, affiancando il presidente Piergaetano Marchetti mentre la gestione è sempre in mano al vecchio management, l’ad Carlo Salza e il direttore commerciale Gabriele Villa che hanno consegnato un 2016 con ricavi in crescita (+3% a 7,5 mld; margine operativo lordo +5,5% a 661 milioni) ma frenato dalle svalutazioni immobiliari (utile operativo - 6% a 405 mln e risultato netto - 10% a 262 mln). La moglie Giuliana Albera è stata nominata presidente onorario e insieme alla figlia Marina detiene il 70% della holding a cui fa capo il marchio Esselunga e il 55% di Villata Partecipazioni, che ha in pancia gli immobili del gruppo.

Con l’addio al fondatore sono rimaste nel cassetto (dell’advisor Citi) le offerte arrivate nell’agosto 2016 dai fondi di private equity Blackstone e Cvc, che avevano messo sul piatto 6 miliardi di euro, due investitori finanziari però, con caratteristiche quindi diverse dal profilo industriale che nel suo testamento Bernardo Caprotti aveva disegnato per Esselunga. «Sto dotando l’azienda di un management di alta qualità - sottolineava - È diventata “attrattiva”». «Però è a rischio. È troppo pesante condurla, pesantissimo ”possederla”. Occorre trovare, quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale. Ahold sarebbe ideale. Mercadona no».

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