Comuni multati,
lo Stato patrigno

Il più grande storico dell’amministrazione francese, Pierre Legendre, usava l’espressione Stato «paterno» per indicare il ruolo del potere centrale rispetto alle amministrazioni locali e alla collettività nel suo insieme. Nel caso del quale ci occupiamo si può parlare senza ombra di dubbio di Stato «patrigno». L’accostamento viene alla mente per una vicenda già segnalata su queste colonne alcune settimane fa, allorché si diede conto del fatto che in tre piccoli Comuni della provincia di Bergamo, analogamente a quanto stava accadendo in quella di Brescia, l’Istat aveva comminato una multa alle amministrazioni che non avevano trasmesso i dati statistici relativi ai permessi di costruire nelle rispettive zone territoriali.

I sindaci di quei Comuni hanno legittimamente protestato, sostenendo che le amministrazioni molto piccole, avendo un numero di impiegati assai esiguo, fanno fatica a tener dietro ai numerosissimi adempimenti che le leggi affidano indistintamente ai comuni, prescindendo dalla valutazione della possibilità di adempimento effettivo.

Adesso la vicenda assume dimensioni più ampie, essendo stati multati molti altri Comuni. E qui entrano in gioco due fattori. Il primo può essere ricondotto a un canone del diritto amministrativo, il principio di «ragionevolezza», in virtù del quale il precetto giuridico non deve sconfinare nell’irragionevolezza di fatto. Il secondo è di natura squisitamente politica e rinvia alla torrenzialità della legislazione amministrativa, alle continue modifiche delle norme, all’incongruenza che non raramente si verifica tra vecchie e nuove leggi. È noto (e pacificamente accettato) che l’enorme quantità di leggi, regolamenti, atti normativi secondari ingolfa l’attività degli uffici, anche di quelli meglio attrezzati e con personale adeguatamente preparato. L’Istat fa il suo lavoro. Meglio, il suo dovere: si preoccupa di raccogliere, registrare, sistematizzare e analizzare dati di interesse istituzionale, sociale, economico. Nel far questo ha necessità di servirsi di referenti esterni, che sono le amministrazioni pubbliche ma anche soggetti privati. Nessuno può contestare il diritto dell’Istituto di chiedere che gli uffici pubblici facciano rilevazioni statistiche sulla base delle indicazioni che esso fornisce. Nel contempo è doveroso che le amministrazioni (e tra esse i Comuni) partecipino a un’attività indispensabile a costruire la base conoscitiva della situazione reale del Paese. I piccoli Comuni, che sono la stragrande maggioranza dei quasi ottomila sparsi sul territorio nazionale, sollevano un problema di insufficienza di risorse per svolgere il compito che le leggi assegnano loro. Le multe dell’Istat sono uno degli esiti perversi di tale situazione. Il problema riguarda tutto il Paese, per tale motivo l’Anci ha cominciato a farsi portavoce delle rimostranze dei sindaci, proponendo correttivi che permettano ai comuni piccoli di gestire senza affanni le rilevazioni statistiche.

«Conoscere per governare» è una massima antica e sempre valida. Poter contare sulle informazioni necessarie è un elemento indispensabile per una corretta azione di governo. Il limite – logico e fattuale – sta nel rapporto tra quantità/qualità dei dati e possibilità di adoperarli proficuamente. Al riguardo resta aureo il paradosso di Borges che si interrogava sull’uso della carta topografica di una città coincidente (la carta) con le dimensioni e i confini della stessa. Perfetta, ma perfettamente inutile. Se l’azione di un Comune diventa prevalentemente quella di immettere dati ed elaborare statistiche si rischia di penalizzare l’esercizio delle funzioni fondamentali del governo locale: fornire servizi utili alla comunità. Nel nostro Paese le amministrazioni si stanno «incartando», per le troppe (e talvolta non necessarie) incombenze loro affidate dalle leggi. Si pensi ai piani annuali e triennali riguardanti la semplificazione, l’anticorruzione, le perfomance. Montagne di carte (anche in senso figurato) che restano spesso nei cassetti e/o nelle memorie dei computer. In questo modo non si va lontano: basterebbe fare riferimento a una vecchia massima secondo la quale troppe informazioni non fanno alcuna informazione, troppi adempimenti producono pessimi adempimenti.

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