Demoni del terrore
Soli ma non solitari

Quello portato dal trentasettenne algerino Hammou B., che ha falciato con l’automobile un gruppo di soldati nel sobborgo parigino di Levallois-Perret, è stato, per la Francia, dal gennaio 2015 a oggi, l’ottavo attacco contro membri delle forze nazionali di sicurezza, e il ventiseiesimo atto terroristico. Decine le vittime in un Paese che da quasi tre anni vive in stato di emergenza. Nell’Europa angosciata dal terrorismo islamista, la Francia è indubbiamente il Paese più colpito e proprio per questo ciò che vi accade fa scuola e dev’essere analizzato con attenzione.

In Francia, per esempio, abbiamo imparato a conoscere i cosiddetti «lupi solitari», che poi così solitari non sono mai. Dovremmo ribattezzarli «lupi anonimi», perché il grigiore è la loro suprema caratteristica. Anche Hammoun B. era ignoto all’antiterrorismo, come molti dei suoi compari. Uno tanto qualunque che per ora non si riesce nemmeno a sapere se fosse un cittadino francese (di nuovo: come molti altri terroristi) o un immigrato clandestino. Aveva, altra caratteristica ricorrente, qualche piccolo precedente per reati di poco conto. Erano tipi più o meno come lui, per risalire la serie degli attentati, anche i gemelli Kouachi che compirono la strage nella redazione del Charlie Hebdo. Come lo era il loro complice Koulibaly, l’assassino del supermarket ebraico, che qualche anno prima era stato addirittura segnalato dal proprio datore di lavoro e inserito in un gruppo di giovani che aveva incontrato il presidente Sarkozy.

Gente qualunque, insomma, uscita dalle periferie, insoddisfatta e rabbiosa, decisa a vendicarsi di qualcosa. Ma anche solitaria? Lasciando perdere l’Isis, che rivendicherebbe pure un tamponamento in autostrada, siamo proprio sicuri che dietro i «lupi solitari» non ci sia qualcuno che riempie loro la testa, indica l’obiettivo, suggerisce la tattica, fornisce qualche aiuto? È chiaro che questi squilibrati che s’improvvisano terroristi sono spendibili, sacrificabili. Hammoun B., per investire i soldati a Levallois-Perret e poi tentare la fuga, ha usato un’auto presa a noleggio, quindi dotata di ogni sistema per essere facilmente localizzata. Ma spendibili da chi? Sacrificabili per quale scopo? L’idea di colpire proprio i soldati che prendono parte all’operazione antiterrorismo «Sentinelle», alloggiati in una caserma senza insegne, è stata davvero sua e solo sua?

È quest’ampia zona d’ombra che si estende tra l’atto solitario e il complotto, tra il lupo randagio e il branco organizzato, ciò che più ci spaventa. E che ci pare ancor più terribile nella stagione in cui, per istinto più che per razionale convinzione, tendiamo a credere che tutto abbia tregua, non solo il lavoro. Ovviamente non è così. Né lo sarà finché non riusciremo a puntare una luce più potente su ciò che davvero accade in quel mondo ancora largamente incognito, fatto di periferie, immigrazione, emarginazione, delinquenza e speculazioni pseudo-religiose, che pulsa in tante grandi città d’Europa. E non solo in Francia, dove pure le banlieu, protagoniste nel 2005 di una vera rivolta, innescatasi poi di nuovo a Parigi nel febbraio di quest’anno dopo l’arresto e il pestaggio di un ragazzo da parte della polizia, sono un soggetto sociologico ben identificato e studiato.

È un lavoro cui le forze di sicurezza si dedicano da tempo in tutta Europa e che ci ha evitato guai anche peggiori. Un lavoro, però, che deve diventare priorità sociale. Lasciar crescere mondi paralleli e inesplorati non è democrazia ma imprevidenza.

E non è una buona ricetta per la tranquillità cui tutti i cittadini, anche quelli venuti da altri Paesi, aspirano per sé e per le proprie famiglie.

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