Governo ostaggio
del partito delle urne

La sua navigazione è a vista e perigliosa: Paolo Gentiloni lo sa e lo ha dimostrato nelle due ore di conferenza stampa di fine anno con i giornalisti parlamentari. Mai un tono sopra le righe, volo bassissimo, quasi radente, prudenza su ogni argomento, parole misurate come neanche Casini riesce a fare, zero battute piacione, un altro mondo rispetto a Renzi. Risultato cercato e raggiunto: apparire come uno che sta a Palazzo Chigi con dignità, nel senso che finché può lavora e va avanti, ma senza velleità di andare in cielo a dispetto dei santi (e di Matteo). Understatement, insomma, che però è proprio la virtù che potrebbe rivelarsi la vera assicurazione sulla vita di questo presidente del Consiglio divenuto tale quasi per caso. Proprio come quasi per caso fu nominato ministro degli Esteri, lui senza alcuna esperienza internazionale, solo perché Napolitano pretese da Renzi che a capo della diplomazia italiana ci fosse almeno un politico navigato e non qualche giovane promessa del Pd scelta tanto per meravigliare gli astanti e il popolo di Twitter.

Di caso in caso, Paolo dei conti Gentiloni Silverj da Filottrano è dunque un presidente del Consiglio che sa di esserlo ma nello stesso tempo è cosciente del fatto che «la stabilità non può prendere in ostaggio la democrazia». La navigazione che gli è stata programmata dal suo partito e da Renzi non prevede infatti di superare il semestre, però lui, Gentiloni, ricorda che «le riforme devono andare avanti». Certo non quelle costituzionali, ormai affondate dal referendum di inizio dicembre (ne riparleremo tra un decennio se va bene) ma di sicuro le molte altre che restano in attesa di completamento: la Pubblica amministrazione, per esempio, o la Giustizia (codice civile, diritto fallimentare, codice antimafia...), il sistema carcerario o anche il diritto del lavoro con le modifiche che l’esperienza (e il referendum incombente) stanno rendendo necessarie per esempio sui voucher. E poi c’è da pensare alla mole di interventi per la ricostruzione post terremoto nel Centro Italia o al difficile negoziato con l’Europa sulle crisi bancarie, a cominciare dal Monte dei Paschi.

Insomma, questa Gentiloni la chiama e la rivendica come «continuità» con il lavoro di Renzi di cui lo stesso premier si sente parte. Finché sarà possibile, lavorerà ogni giorno come se fosse l’ultimo. Certo, a giorno segue giorno, e chissà quando davvero si potrà mettere la parola fine e andare a votare. Certo, il partito delle urne è fortissimo ed è capeggiato da Renzi in persona, dunque Gentiloni non farà nulla per opporvisi, nessun atto del suo governo potrà essere interpretato come un modo per tirarla alla lunga. Solo che le cose potrebbero da sole andare «alla lunga». E su questo l’esempio da fare è quello principale: la riforma della legge elettorale.

Il governo non si farà attore della nuova legge. Vuol dire che non presenterà un proprio testo «base» su cui far discutere i partiti. Saranno loro, i partiti, a prendersi la responsabilità di una proposta, e poi si vedrà. Basi per un accordo per il momento non si vedono. C’è una convergenza di interessi, questo sì, che potrebbe facilitare le cose e affrettare i tempi: Renzi, Berlusconi e il pulviscolo dei centristi vogliono una legge che non favorisca il M5S. Poi certo, questa premessa ognuno la declina come vuole: Berlusconi vuole un sistema proporzionale che aiuti Forza Italia e il centrodestra a tornare in campo sotto la leadership di Arcore per elezioni da tenere però alla scadenza naturale della legislatura, nel 2018 così da avere il tempo per riorganizzare le truppe.

Renzi potrebbe non essere distante da una prospettiva almeno in parte proporzionale, ma per il momento ha calato la carta del Mattarellum, ed è da lì che vuole che gli altri si muovano. Il Mattarellum funzionò negli anni ’90 con la contrapposizione destra-sinistra e ha fatto vincere ora gli uni ora gli altri, ma oggi viviamo in un equilibrio tripolare e non sembra quello il miglior sistema per il Pd, dunque la proposta renziana potrebbe essere solo tattica, fatta per lasciare coperte le carte. Vedremo.

Il punto è che a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale della fine di gennaio-primi di febbraio, assisteremo ad un duro, difficile, intricato negoziato tra i partiti che sarà condotto tra le proteste di quanti, Lega o Cinque Stelle, faranno in fretta e denunceranno intrighi, complotti, pastette e chiederanno «Il voto! Il voto!», «con qualunque sistema» (Salvini) o con l’Italicum riformato dalla Corte (i Cinque Stelle, persuasi che quella sia la legge più favorevole al loro successo). Da febbraio a marzo ci sono due mesi: riusciranno a fare la nuova legge per la Camera e il Senato? Se non ci riescono, a giugno non si vota…

Ecco dunque il Gentiloni in versione mattarelliana: giorno dopo giorno, alla scrivania come fosse il primo e l’ultimo. Chissà fino a quando.

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