Guardate l’Expo
con occhi da bambino

Ma lì cosa c’è? E lì in fondo? Mamma, guarda il padiglione dell’Ecuador come è colorato... Ecco, se volete guardare l’Expo 2015 con gli occhi giusti scegliete quelli dei bambini.

Gli stessi che hanno cantato l’inno di Mameli: quelli con la divisa bianca e candida, perché il nero in quelle stesse ore a Milano stava da un’altra parte. Quelli che quando la meravigliosa banda dei carabinieri ha attaccato a suonare, marziale come sempre, hanno rotto qualsiasi protocollo e si sono messi a saltare e battere le mani. Un coro meravigliosamente fuori dal coro. Quello di chi si aspettava (quasi sperava...) un clamoroso flop, per esempio: i professionisti «del non ce la farete mai», come ha osservato con malcelato compiacimento quel Matteo Renzi che all’inaugurazione di Expo è passato all’incasso.

Del lavoro fatto dai suoi predecessori, innanzitutto, perché questa operazione parte da lontano. Vero che all’attuale inquilino di Palazzo Chigi è toccato il non facile compito di dare il colpo d’acceleratore e presentarsi al rendez-vous più o meno in orario, ma lo è altrettanto il fatto che al suo predecessore Enrico Letta va il grande merito di avere sbloccato una situazione incancrenita, bloccata dalle diatribe tra Regione Lombardia (epoca Formigoni quater) e Comune di Milano. Letta comunque dimenticato da Renzi, al pari di Romano Prodi, ma si sa che dalle parti del centrosinistra le acque sono sempre agitate.

Ma torniamo all’Expo, a quella Milano «che ha sempre accolto tutti» come ha ricordato il premier, e che per i prossimi 6 mesi avrà i fari del mondo puntati addosso. Sia per l’evento in sé che per il tema scelto: una sfida colossale. Perché tra chi percorrerà quel moderno Decumano del sito espositivo non ci saranno «i milioni di persone che oggi hanno fame, i volti di chi oggi non mangerà in modo degno. I volti degli uomini e delle donne che hanno fame e che si ammalano o anche muoiono per una alimentazione carente», come ha ricordato Papa Francesco, cogliendo in modo unico e magistrale il senso dell’evento.

E allora entriamo in quei padiglioni, facciamoci delle domande prima ancora di pensare di sapere tutto e avere le risposte: torniamo bambini con la voglia d’imparare. Di riflettere su numeri che ci ricorderanno che tanta, troppa, gente muore ancora di fame e che, per contro, ogni settimana la parte di mondo che sta bene spreca quantità inimmaginabili di cibo. Expo 2015 non è solo un’occasione di divertimento, lavoro, turismo e rilancio, ma pone questioni epocali, sintetizzabili in una frase che campeggia sul padiglione svizzero: «Ce n’è per tutti?».

Dimentichiamo per i prossimi 6 mesi le polemiche, legittime, i ritardi – che ci sono – e la quantità di problemi che Expo ha portato con sé nel suo lungo e accidentato percorso verso un 1° maggio di festa che ha catapultato Milano in quello che, in fin dei conti, è il suo giusto posto nel mondo.Una Milano che è stata da bere e che ora vive di affari , innovazione e lustrini: la parte più avanzata di quel Paese che guarda all’Europa come un’opportunità e non come una pietra al collo. Che non sa ragionare divisa tra «noi» e «loro», che non tira su muri ma sa accogliere, perché sfide di questo genere appartengono a tutti e nessuno può sentirsi chiamato fuori.

E allora ripartiamo dai bambini, usiamo i loro sguardi e il loro entusiasmo di quando varcheranno le soglie di Expo: facciamoci prendere per mano e guidare nella loro voglia di un futuro diverso e soprattutto migliore per tutti. Felici come quelle divise bianche che battevano le mani e saltavano al ritmo della musica della banda dei Carabinieri. Stava suonando la melodia di un film: «La vita è bella»...

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