Leggere romanzi,
terapia per i politici

Perché la letteratura può migliorare le nostre vite e renderci migliori come uomini? Oggi più che mai la nostra società avverte un grande bisogno di empatia (quella capacità di porsi nello stato d’animo di un’altra persona). Questo bisogno è sinonimo dell’urgenza di mutare il nostro rapporto con le persone e con l’ambiente. L’empatia, di cui siamo naturalmente dotati, si rivela sempre più importante per la soluzione dei problemi di una società globalizzata. E la letteratura può dare un contributo importante per migliorare queste nostre capacità.

I romanzi, infatti, hanno a che fare con la vita e con quella rappresentazione della vita che è l’arte, proprio perché nascono dal senso concreto dell’individuo e dalla capacità di sentire, non solo di pensare, che esistono, altrettanto concrete e in carne e ossa, persone che hanno come noi passioni, sentimenti, esigenze. La letteratura è per eccellenza questa capacità di sentire concretamente la vita di altri, di personaggi incontrati o solo immaginati o inventati; di sentirli vivi come noi e di farli vivi come noi.

Un’opera letteraria, anche se nasce da un’irripetibile situazione individuale, si rivolge a tutti e dunque, se ha un messaggio morale, quest’ultimo diviene pure politico, perché entra nella vita, nei pensieri, nei sentimenti della polis, della comunità. Secondo un recente sondaggio – che ribalterebbe alcune idee precostituite – i giovani leggerebbero molto di più degli adulti (a quanto sembra troppo impegnati a inseguire i commenti sui social).

Per questo è giustissimo continuare a stimolare alla lettura le nuove generazioni. Ma sarebbe utile spronare in questa direzione anche i meno giovani. Soprattutto quelli che amministrano un potere, piccolo o grande che sia. A cominciare dai politici. La politica è, infatti, anche la capacità fantastica di capire e sentire che i milioni di individui che non conosciamo sono altrettanto reali e concreti, fatti di carne e di sangue, come noi; per questo i politici sono chiamati a contribuire a cambiare lo stato delle cose e non solo a rappresentarci.

Un impegno morale, in quanto la politica è (o dovrebbe essere) la necessaria capacità di vedere – e lenire – non solo il bisogno del singolo individuo che conosciamo e che ci è caro, ma pure quello di tanti altri individui, a noi personalmente ignoti, che si trovano in condizioni analoghe e che sono cari ad altri, né più né meno importanti di noi. In questo senso ogni romanzo, a prescindere dall’ideologia professata dall’autore, è democratico, perché ci mette nei panni e nella pelle degli altri.

Nel suo saggio intitolato «L’intelligenza delle emozioni», la pensatrice americana Martha C. Nussbaum ha analizzato, con grande lucidità, proprio questo fenomeno: il contributo positivo delle emozioni per le decisioni pubbliche, sia individuali sia collettive, affidando proprio alla letteratura il compito di rivitalizzare esperienze atrofizzate di sensibilità per relazioni interpersonali regolate in termini morali.

In questo senso i romanzi servirebbero a esprimere un senso normativo della vita e ad assumere alcuni atteggiamenti mentali piuttosto che altri. Come ha scritto il premio Nobel Iosif Brodskij, la narrativa funge da «antidoto permanente alla legge della giungla». Prendiamo Dostoevskij e il suo capolavoro: «Delitto e castigo». In questo libro l’autore ha mostrato – come forse nessun altro scrittore – quanto tragica e insieme goffamente banale sia la seduzione trasgressiva, che invita a infrangere la legge morale in nome dell’insondabile e lutulento fluire della vita. L’autore russo, facendo parlare dall’interno del suo dramma il protagonista Rakol’nikov, ha dunque posto le domande ultime sul destino dell’uomo, sulla sofferenza e sull’amore; sulla salvezza e sulla perdizione dell’uomo. Una lezione viva ancora oggi, dove le sfumature tra il bene e il male appaiono sempre più drammaticamente confuse. Solo questo basterebbe a spronarci a leggere ogni sera la pagina di un romanzo. Per capire più a fondo chi siamo veramente.

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