Pancia piena
e pancia vuota

Il gran parlare che si fa dell’Expo e del cibo mi ha fatto venir voglia di riprendere in mano un libro singolare, di Amélie Nothomb. È di alcuni anni fa, del 2005 esattamente (2004 nella lingua originale francese). La Nothomb è una scrittrice di successo che sforna un libro all’anno, regolarmente pubblicati anche in Italia. Il titolo del libro in questione è stimolante proprio in rapporto a quello che stiamo vivendo in questi giorni: Biografia della fame. Le prime pagine del libro sono bellissime (non sempre ahimè le pagine della Nothomb sono così belle).

La scrittrice racconta il suo strano incontro con tre strani cittadini del Vanuatu (nome moderno delle Nuove Ebridi, piccolo arcipelago a ovest dell’Australia e della Nuova Guinea, tra le isole Salomone e la Nuova Caledonia). I tre mangiano lentamente, con scarsissimo appetito perché, dicono, «non abbiamo fame». «Perché non avete fame?», chiede, incuriosita, la scrittrice. Risponde uno dei tre: «Nel Vanuatu, c’è cibo ovunque. Non abbiamo mai dovuto produrlo. Se apri le mani, ti piove una noce di cocco da una parte e un casco di banane dall’altra. Se entri in acqua a rinfrescarti, non puoi evitare di raccogliere eccellenti frutti di mare, ricci, granchi, e pesci dalla polpa delicata… le femmine facocere hanno troppo latte, perché sono sovralimentate anche loro, e ci supplicano di mungerle, per liberarsene…».

Il portavoce dei tre nativi del lontano arcipelago guarda i suoi compagni «con aria cupa, uniti da quel pesante e incomunicabile segreto della sovrabbondanza perenne, poi si prostrarono in un mutismo abbattuto». Il commento di Amélie Nothomb è tagliente: «Mi davano l’impressione di essere fiacchi: come se nulla li interessasse. La loro vita era un’eterna perdita di tempo. Mancava di uno scopo».

Dunque l’abbondanza è deprimente. Se si vuole citare l’esatto contrario del Vanuatu si può parlare della Cina che, dice Amélie Nothomb, è il «campione della pancia vuota».

Ma questo campione della pancia vuota è titolare di una civiltà «brillante e ingegnosa». «I cinesi hanno inventato tutto, pensato tutto, compreso tutto, osato tutto. Studiare la Cina è studiare l’intelligenza. Sì, ma hanno barato. Erano sotto l’effetto del doping: avevano fame».

Sono intuizioni, naturalmente. Ma piene di stimoli eccezionali. Noi occidentali buttiamo via tonnellate di cibo ogni giorno. Siamo nell’opulenza e non abbiamo più fame. Anche se le noci di cocco e i caschi di banane non sono a portata di mano, però li possiamo avere facilmente: basta pagarli. E possiamo avere molto di più delle noci di cocco e delle banane. Siccome possiamo avere tutto, la nostra ricerca è diventata una corsa forsennata verso il superfluo. Il quale, quindi, è diventato progressivamente necessario. Da qui l’aspetto insopportabile della crisi economica che non abbiamo finito di attraversare. Non abbiamo quello che ci permette di avere tutto: il lavoro e i soldi. Siamo i nativi del Vanuatu che hanno lì, davanti al naso, delle straordinarie noci di cocco, degli enormi caschi di banane e che hanno ricevuto il comando perentorio e inspiegabile di non toccare nulla.

Sarà forse per questo – domanda, mi rendo conto, ingenua – che noi, sazi come siamo, abbiamo così paura di chi ha fame? Le orde di immigrati – ne sono arrivati migliaia anche in questi giorni – ci fanno paura, infatti. Avete notato che Matteo Salvini va in giro con un iPad a filmare immigrati e nomadi? L’impaurito tecnologico di fronte agli straccioni paurosi.

Solo che gli straccioni paurosi, non avendo nulla, vedono nel pezzo di pane una straordinaria conquista e, dopo aver conquistato un pezzo di pane, hanno davanti a sé la possibilità di conquistare tutto il resto. Non gli basterà la vita per lasciarsi meravigliare da quello che potranno avere, prima o poi, domani.

Ma, allora, si potrebbe dire che l’Expo deve mettere nella lista dei suoi scopi anche quello di favorire il contatto tra le paure dell’opulenza e le irrequietezze della fame?

© RIPRODUZIONE RISERVATA