Pessimismo di lusso
E Macron paga

Mistico non per idealismo, ma per realismo, Charles Péguy pensava che l’infelicità del socialismo nascesse dalla sua tendenza a considerarsi lo sbocco naturale della modernità. Quando stai troppo bene nel presente, rischi di non trovare più il tempo per rivoluzionarlo. In fondo, è lo stesso pericolo che un secolo più tardi sta correndo Emmanuel Macron, chiamato proprio oggi a festeggiare i suoi primi cento giorni di governo. Di sicuro, questo traguardo, l’enfant prodige della politica francese se lo sarebbe aspettato diverso.

I sondaggi confermano che la luna di miele con gli elettori è già finita. Solo un terzo dei francesi si dice soddisfatto dell’azione del trentanovenne ex banchiere di Rotschild. Nell’agosto 2012, a titolo di paragone, l’allora neopresidente socialista François Hollande – che a fine mandato risulterà essere di gran lunga il presidente più impopolare della storia della Quinta Repubblica – godeva di un apprezzamento maggiore.

Che cosa succede? Perché il Mozart della finanza prestato alla politica è caduto tanto in basso? La riforma del mercato del lavoro dovrebbe maturare a fine mese, ma nessuno ragionevolmente poteva aspettarsi tempi più rapidi. Tutto sommato, al di là di un paio di spot ben riusciti (l’invito di Putin a Versailles e l’ospitata di Trump alla sfilata del 14 luglio), la cosa che gli è venuta meglio è stata prendere a schiaffi noi italiani. Prima muovendosi unilateralmente in Libia, poi venendo meno alla parola di Hollande su Fincantieri. Davvero è sufficiente per giudicarlo?

Un’analisi fuori dal coro viene da un filosofo tedesco non molto frequentato in Italia, Peter Sloterdijk, diventato famoso a livello planetario nel 1983 con il suo primo libro, un best seller tradotto in 35 lingue, «Critica della ragion cinica».

La premessa. Macron è stato eletto sì con un plebiscito, ma viziato da un astensionismo record, perché alle urne per eleggerlo ci andò un francese su due. La tesi. Gli elettori hanno una memoria d’elefante e si smarriscono quando si sentono condannati, da un giorno all’altro, all’ottimismo.

Sloterdijk introduce nel dibattito il concetto di «pessimismo di lusso». Uno stato d’animo che affonda le radici nel tempo, a François Mitterrand, l’icona socialista imbalsamata fra una presidenza che si voleva di sinistra e una maggioranza parlamentare di destra. Mitterrand, ormai lo ammettono anche i suoi incensatori, regnava, ma non governava. E i francesi hanno preso l’abitudine a questa strana forma di assenza di governo che si è poi perpetuata, con sfumature diverse, per 35 anni. Vivere così non è indolore, si respira un’aria viziata che genera appunto un pessimismo diffuso, difficile da percepire. Ma alla fine ci si rassegna alla dolce amarezza di constatare che non si può più credere davvero alla politica, perché della politica è rimasta la corruzione, nella peggiore delle ipotesi, l’incapacità di decidere e risolvere i problemi, nella migliore. Ha a che fare con il brodo di coltura che ha covato populismi ed estremismi che agitano da un decennio la vecchia Europa, ormai in bilico tra cinismo e paura. È dentro questo brodo che Macron è nato e poi, cento giorni fa, ha sfondato. Perché era giovane, perché era diverso. Diverso al punto da sembrare un alieno.

La verità, ricorda con una punta di amarezza Sloterdijk, è che la politica – con buona pace del Sessantotto («Vogliamo tutto e lo vogliamo subito») e della generazione internet, abituata alla velocità – è sovrumana pazienza, progressione lenta e strategia di lungo respiro. Con un’immagine efficace, il filosofo tedesco la paragona all’impresa di scavare un buco in una tavola di legno, un legno così duro da sembrare imperforabile. Ecco, il miracolo di Macron è stato quello di fare un buco enorme, ma nel punto più marcio del legno.

Cento giorni fa la sua vittoria (pazzesca, lui piaceva come una coca ghiacciata sotto il solleone) fu figlia anche della sensazione diffusa che ormai si possa fare a meno dei partiti. Le elezioni che l’hanno incoronato hanno celebrato un bel funerale di prima classe al partito socialista (uno dei due pilastri della Quinta Repubblica insieme alla destra moderata), rimpiazzato da En Marche!, gonfio di assoluti debuttanti in politica, che in questo ricordano lo sbarco dei grillini in Parlamento. C’è un elemento di dilettantismo nel movimento di Macron, e nessuno deve scandalizzarsi se diciamo che nel macronismo si annida una forma di populismo. Un populismo di tendenza centrista, beninteso, e il populismo liberale è una novità in Francia, dove ha dominato fino a ieri la contrapposizione destra/sinistra e il centro è sempre stato leggerissimo per non dire impalpabile.

Non è che i francesi si sono già stancati di Macron. È solo, e banalmente, la conferma del vecchio assioma per cui è più facile vincere, che governare. Vale per la sinistra, da cui Macron viene, e vale anche per lui, il principino nato in seno al banchiere Rotschild.

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