Populismi europei
sul fronte italiano

Lo straripante successo dell’estrema destra austriaca di Norbert Hofer e del suo «Partito della Libertà» non era certo stato previsto in questa misura, se si considera che il secondo classificato al primo turno delle elezioni presidenziali, l’indipendente verde Alexander Van der Bellen si è fermato al 21 per cento dei consensi, e che i due partiti che governano a Vienna dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i democristiani e i socialdemocratici, sono rimasti esclusi dal ballottaggio.

Un terremoto nella ex Felix Austria le cui onde si propagheranno velocemente in tutta Europa: verso Nord dove aiuteranno la già consistente crescita della destra tedesca di Alternative Fur Deutschland; verso Ovest dove conforteranno una già solidissima Marine Le Pen; verso Est in tutti i Paesi ex comunisti già abbondantemente versati a politiche simili a quelle dell’Fpoe, e anche verso Sud dove Hofer conta da tempo sulla fervida alleanza dei leghisti di Matteo Salvini con l’aggiunta del più piccolo Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che è pur sempre l’erede del vecchio Movimento Sociale di Giorgio Almirante. Insomma, un’onda che rischia di destabilizzare ancor di più un’Europa colpita dalla crisi economica più lunga e dall’emergenza migranti, fenomeni di fronte ai quali l’Unione a trazione tedesca ha mostrato tutti i limiti e le fragilità della costruzione comunitaria.

Sarà ben contento Salvini che questo successo dei cugini austriaci cada proprio al culmine della sua battaglia per l’egemonia nel centrodestra, o di quel che ne resta al tramonto del ventennio berlusconiano. Che è sempre stato, si badi, solidamente ancorato alle politiche del Partito popolare europeo (almeno da quando smise di essere la Dc europea e divenne l’aggregazione di tutti i popolari-conservatori dell’Unione) e ha frenato le pulsioni leghiste che oggi Salvini lamenta che siano etichettate come «xenofobe e razziste». Berlusconi consentiva a Maroni di seguire una linea di politica interna che mirava a stringere, grazie all’amico Gheddafi, tutte le viti dei nostri confini, ma manteneva il partito di Bossi nel proprio ambito riservandosi una politica europea lontana dagli euroscetticismi degli esordi, quella di Antonio Martino per intenderci.

Ma ora Berlusconi è al termine del ciclo politico, segue logiche altalenanti, non sempre comprensibili ai suoi, figuriamoci agli altri. E Forza Italia vive come un incubo la prossima prova delle elezioni amministrative che potrebbe certificare il declino del partito azzurro. A questo alleato così smarrito, Salvini indica la strada della salvezza, che è quella appunto della destra europea vincente – «xenofoba e razzista», anche se nega di esserlo – che va all’assalto dell’Unione, del club dell’euro, della Bce, del trattato di Schengen, ecc. Lì solo, dice Salvini, c’è la possibilità di tornare a vincere e di travolgere i governanti moderati, popolari o socialdemocratici che siano. Il leader leghista sa benissimo che finché Forza Italia avrà a capo un Silvio Berlusconi ancora disposto ad occuparsi di politica questa linea di estrema destra non passerà, ma non è certo questo che lo preoccupa, come dimostra ogni giorno usando nei confronti dell’anziano leader un vocabolario ai limiti dell’insofferenza. Salvini punta soprattutto a traghettare verso la Lega lepenista voti e pezzi di organizzazione di Forza Italia, soprattutto al Nord ma non solo, per costruire un raggruppamento unitario da lui guidato.

Questo processo di trasformazione del centrodestra in una destra tout court almeno per il momento non preoccupa Matteo Renzi. Avere come alternative di governo Luigi di Maio o Salvini significa non avere alternative e giovarsi dell’essere l’unica possibilità ragionevole offerta a moderati e riformisti spaventati dal grillismo e dal lepenismo di casa nostra. Sperando naturalmente che questi fenomeni non comincino a crescere troppo: un perdurante stato di disagio nazionale infatti non può, per definizione, che premiare i partiti populisti titolari della protesta.

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