Se il Papa negli Usa
scuote le coscienze

È il riconoscimento più importante, quello che va oltre la cortesia diplomatica e personale. È il riconoscimento soprattutto del peso specifico del Vangelo gettato nell’arena globale. Quando Barack Obama ha ringraziato Papa Francesco, ieri sul prato della Casa Bianca, con parole non formali, lontane dalla sintassi di un presidente, si è compresa fino in fondo la forza del Pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Ha detto Obama al Papa: «Lei ha scosso la nostra coscienza dal sonno». Sono parole perfette e collocano la missione di Papa Francesco nell’unico orizzonte possibile.

Scuotere gli uomini, i regimi, perfino la certezza dei concetti e quelle delle parole quando il loro uso ne rende ambiguo il significato. Da quasi tre anni questa è la missione che si è assunto Bergoglio dentro e fuori la Chiesa, sbaragliando la tranquillità, denunciando le illusioni di un mondo che credeva di poter tenere fuori dal proprio ordine i mendicanti, persone e popoli emarginati. Nel sonno spariscono gli indesiderabili. Invece Papa Francesco ha rimesso tutti sulla scena, è andato a cercare i pezzi frantumati e ha avvisato che nulla può finire in maceria, non gli uomini e nemmeno gli Stati, la politica, l’economia. Scuotersi dal sonno è l’operazione che va fatta prima della definizione di ogni agenda. Il Papa ha scosso Cuba e ora scuote l’America. Quando ha avvertito che gli esclusi gridano al cielo e che noi rispetto a tutto ciò possiamo dire, citando le parole di Martin Luther King, che siamo stati inadempienti, non ha fatto null’altro che bussare al dormiveglia del mondo.

La missione americana di Papa Francesco non sarà facile. Oggi parlerà al Congresso più conservatore di sempre nella storia degli Stati Uniti, quello stesso Congresso che al momento della sua elezione non riuscì ad accordarsi su un testo condiviso di congratulazioni. Ma a Bergoglio non interessa il successo. Interessano interlocutori che come Obama ammettano di essere stati scossi nella coscienza. È accaduto a Cuba nella prima tappa del viaggio. Il Papa ha schierato una Chiesa uscita dalle sacrestie, che non si lamenta nemmeno per le sofferenze del passato, non rivendica nulla, abbatte muri, getta ponti, semina riconciliazione. Non si chiede neppure cosa ci sia oltre la «revolucion», perché sa che dovrà essere un processo e lui è venuto a Cuba proprio per incidere su di esso. Il viaggio a Cuba, che sembrava all’inizio essere solo uno scalo sulla via dell’America, è diventato così una missione politica e religiosa di prim’ordine che avrà effetti dietro le quinte della transizione, che Raul Castro traduce nella costruzione di un «socialismo sostenibile» e conta sull’appoggio della Chiesa per non finire gambe all’aria.

Ma Bergoglio ha messo già in chiaro che servire il popolo non significa servire le ideologie. Ed un ragionamento che vale all’Avana come a Washington, ideologia marxista e ideologia capitalista. Quello che si è presentato ieri alla Casa Bianca resta il Papa dei poveri anche nel Paese del capitalismo. Negli Stati Uniti non tutti sono d’accordo con lui. Non si può escludere che qualcuno lo accusi pure di intelligenza con il nemico per via della tappa cubana. A lui interessa poco e non si fa incantare da nessuno, né a destra, né a sinistra. Va per il mondo per stare vicino alla gente e ieri ha confermato che gli importa l’America degli ultimi, dei migranti, di quelli che vivono ai margini di tutto, di chi è discriminato come i neri, non a caso più della metà della popolazione carceraria in Usa. Va e suona la sveglia e avverte che è già troppo tardi per scuotersi dal sonno.

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