Ghinzani: 40 anni di automobilismo
«Sempre alla pari con i migliori»

Vederlo sfrecciare in pista ora, quarant'anni dopo la prima e una ventina dopo l'ultima, ha risvegliato in tutti una forma non troppo velata di nostalgia. Casco e tuta ripescati dall'armadio e spolverati con veemenza, le sue fedeli compagne d'avventura (le due Osella e la March) sradicate per l'occasione dal garage, il palcoscenico dell'autodromo di Franciacorta tutto per lui: Piercarlo Ghinzani è tornato al volante, solo per una giornata, breve, ma sufficiente per riprendere in mano l'album dei ricordi.

Tra le memorie di tante vittorie e il pensiero di un compagno di viaggio appena scomparso, con uno sguardo al domani che sta costruendo: passato, presente e futuro dell'ex gloria orobica del volante certe volte si confondono, in un mosaico che sfreccia veloce come lui ai bei tempi, quando era alla guida di una Formula 1.

L'amarcord parte dal giugno di quarant'anni fa, giorno più giorno meno: Ghinzani è fresco diciottenne. Il palcoscenico è suggestivo, Monza, la vettura è una Tecno Formula Ford, il talento è promettente, ma l'età è ancora troppo acerba per potere correre una gara ufficiale, dato che ai tempi bisognava possedere la patente già da un anno per fare sul serio.

L'esordio, quello vero, è datato 1971, sempre a Monza, per una gara di Formula Ford, ma il lieto fine, nell'occasione, non è contemplato, a differenza di quanto si possa pensare riguardo la prima di un predestinato: «La mia voglia di fare era tale - ricostruisce Ghinzani -, che non rispettai il mio turno e uscii dalla pit line in anticipo, suscitando l'ira del direttore di gara Nino Maffezzoli, che non esitò a squalificarmi: lì imparai l'importanza del rispetto delle regole, ma al momento fu una delusione immensa, per me e tutto il pool di amici che mi seguiva».

Primo riferimento ad un concetto ricorrente nel racconto di Ghinzani: l'importanza del supporto dei compagni del bar sport di Calusco. «Per fare automobilismo servivano capitali importanti, ma io ho sempre sopperito con la profonda conoscenza delle macchine, essendo cresciuto nell'officina di mio papà: come collaudatore, facevo risparmiare soldi ai team, dato che sapevo indirizzare gli ingegneri. Ma senza i miei amici non ce l'avrei mai fatta: mi hanno seguito passo passo, sono stati loro la mia prima scuderia e hanno caratterizzato il periodo più divertente e spensierato della mia carriera».

Anche grazie a loro, la batosta dell'esordio è dimenticata alla svelta, tanto che nella seconda gara, a Vallelunga, arrivò il giro più veloce: «Non ricordo nemmeno la mia posizione al traguardo, ma quel risultato suscitò in me e in chi mi seguiva la consapevolezza di avere un talento importante e la speranza di potere andare lontano». La carriera di Ghinzani è ormai in rampa di lancio: tra il '72 e il '73 le prime gare vinte in Formula Ford, nel '74 il passaggio al vero grande amore, la Formula 3, tanti risultati importanti e, nel '77, il passaggio all'Europeo, con la vittoria in campionato, davanti al compagno di squadra Nelson Piquet.

«A quel punto, bussai alle porte Ferrari, ma ai tempi non c'era spazio per gli italiani e dovetti ripartire dalla Formula 2, per poi tornare in Formula 3 nel ‘79». Per la cronaca, sette gare vinte su dieci, campionato dominato davanti ad Alboreto e l'idea Formula 1 che torna a fare gola: niente da fare, però, e carriera che riparte, grazie a Cesare Fiorio, dal campionato mondiale marche ‘80, con la Lancia Martini che schierava anche i vari Patrese, Alboreto e Nannini.

Nel 1981, il sogno si avvera: il carneade Guerra ha un problema fisico e la Osella chiama. C'è il Gp del Belgio, poi una sosta di due anni e il tuffo a tempo pieno nella serie A dell'automobilismo mondiale. Osella, Benetton, Ligier, Zakspeed, 111 Gran premi disputati, solo due punti, conquistati a Dallas, nell'85: «L'unico grande rammarico è questo, ovvero non avere mai potuto competere a grandi livelli: il divario dai top team era enorme e non potevo puntare in alto».

Eppure, Ghinzani, nelle formule minori, aveva battuto tutti, da Piquet ad Alboreto, fino a Prost: «Nel '79, addirittura, il presidente della Fia Balestre mi disse che se avessi continuato a gareggiare nell'Europeo non mi avrebbe più assegnato punti, per proteggere il pupillo Prost. Probabilmente, a livello di talento avevo poco da invidiare agli altri, ma le circostanze propizie sono mancate: forse avrei dovuto spostarmi in Inghilterra per il definitivo salto di qualità».

Invece, Ghinzani si ritira nel 1989, a trentasette anni, con il petto gonfio per i tanti successi ma l'amaro in bocca per quella Formula 1 vissuta da comprimario: «È l'unico aspetto deludente della mia carriera, ma sono soddisfatto: ho sempre avuto la convinzione di essere alla pari dei migliori, anche se il numero uno di sempre resta il mio amico Senna, assolutamente fuori concorso».

Il presente ha una porta aperta sul futuro: subito dopo una «disintossicazione di un paio d'anni» (parole sue), la costituzione del team Ghinzani, che compete in vari campionati e che ha come primo intento la formazione di giovani piloti: «In questi diciassette anni ho lanciato una cinquantina di ragazzi e preferisco non sceglierne uno, anche se sono pronto a scommettere su Daniel Mancinelli», commenta, coccolandosi l'ultimo gioiellino, che tra l'altro è al momento primo in Formula 3, in attesa della gara di Imola in programma nel weekend.

«Perché sempre la Formula 3? Semplice: è la vera università dell'automobilismo e io mi reputo un buon professore per lanciare i campioni del domani». Uno, forse, se lo troverà in casa, dato che Fabrizio Comi è suo nipote ed è reduce dalla vittoria nella Formula 3 B del 2008, anche se è intanto fermo causa studi.

In tutto ciò, c'è un solo vero motivo per cui essere tristi ed è il ricordo dell'amico di sempre, il direttore sportivo che ha seguito ogni singolo momento della carriera di Ghinzani: Giorgio Benvenuti se ne è andato la scorsa settimana, tradito da un cuore ballerino. «Mi ha sempre assistito, trasmettendomi serenità e allegria: siamo rimasti legati fino all'ultimo giorno». Anche Benva, forse, avrà sorriso da lassù, nel pomeriggio in cui il vecchio amico Piercarlo tornò a indossare casco e tuta, facendo brillare la sua Osella sotto il sole di Franciacorta.
 Matteo Spini

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