Non piangere Tanque. Bergamo è con te
La video-intervista e il saluto ai tifosi

«German- Germaan-Denis, Denisss». Venti e dieci. La partita è finita da un pezzo, ma il Comunale è tutto lì, incollato alla notte tenera che sta cullando German Denis come una mamma culla un bimbo che non vuole dormire e tiene gli occhi spalancati, sorridendo lieve.

Il magone glielo scorgeresti negli occhi, lo puoi immaginare nel passo, lento come dentro un incantesimo. «German-Germann-Denis» e lui cammina con la testa a metà tra il cielo e l’erba, preso per mano dai ragazzi delle giovanili che sfilano dietro allo striscione «#19 Grazie German Denis».

È un tango dolente della nostalgia e lui sembra un ballerino ipnotizzato dalla notte, mentre il maxischermo passa e ripassa i suoi gol e quegli occhi sgranati a folgorare l’aria. «German German Denis Denis», risuona nel Comunale ora che German è al giro di campo finale mano nella mano coi figli, una manciata di minuti dopo la fine della sua partita, l’ultima da calciatore dell’Atalanta.

Cammina e applaude con l’aria lontana di uno a cui sta ripassando tutto davanti agli occhi come il flash-back di un film d’amore e dolorosa nostalgia. Magari ripenserà alla prima volta contro il Palermo, nel settembre del 2012. Magari alla tripletta all’Inter, la sua vittima preferita, al tris alla Roma di Luis Enrique, agli occhi della tigre che graffiavano l’aria e il cuore caldo del Comunale. Gol e simbiosi. German-German, ora è sotto la curva Nord, che lo scuote e che lui guarda per l’ultima volta, mentre imbuca il tunnel. La squadra lo ha aspettato con la sua maglia addosso, la numero 19. L’ha fatto volare per aria, sotto il cielo del Comunale, metafora del suo volo dentro l’Atalanta, nella storia dell’Atalanta. Un Tanque è per sempre, ora è chiaro.

Per sempre qui, è quello che ha detto subito, a caldo, a Sky. Ha avuto 10 minuti per pensarci, dal minuto 37 della ripresa, quando la lavagna luminosa ha mostrato il suo numero, il 19, l’attimo atteso per tutta la sera. «È stata una serata speciale, non è un addio ma un arrivederci perché so che tornerò». Parla e trema, il Tanque, e le lacrime vanno in tackle sulle parole, peggio di tutti gli stopper che gli hanno ronzato sulle caviglie in questi anni. Ma deve andare avanti, e German lo fa. «Ringrazio tutti, Percassi, i dirigenti, i tifosi, tutta la città che mi sono stati vicini in questi anni. Sono grato, questa maglia sarà sempre addosso a me. Ringrazio anche chi lavora dietro le quinte all’Atalanta, che fanno un lavoro fantastico, e ricordo chi mi ha voluto a Bergamo, Pierpaolo Marino e Colantuono. I gol indimenticabili? I tre di San Siro, quando abbiamo vinto 4-3. Lascio Bergamo nel momento giusto, lo faccio anche per la mia famiglia. Torno a casa».

A casa a Bergamo c’è sempre stato, da quando marchiò a fuoco la salvezza dal -6, annodando i gol e il cordone ombelicale con la città. «Dal -6 alle imprese del Meazza…i campioni fanno la storia…Grazie German», lo hanno anticipato i tifosi con uno striscione srotolato al Lazzaretto e lui entra nella partita come un carrarmato, con la fascia addosso, lo stadio che lo invoca subito, mentre è sul dischetto del centrocampo, al fischio d’avvio. Si sbatte, lotta, sbuffa. «Fammi due gol German», lo aveva lanciato Reja alla vigilia. E German ci prova subito. Di destro, di testa. Aspetta l’attimo e l’attimo arriva sul rigore per fallo su Kurtic.. «German German Denis Denis». È il 32’. German piazza la palla sul dischetto, la rincorsa è lenta come il destro, l’amicone Consigli glielo legge negli occhi, ma German ha fatto un patto con la notte, l’ultima qui, e spedisce in porta il tap-in dell’1-1. Sorride, cerca il figlio dietro la porta, lo abbraccia, come sempre, mentre il Comunale lo invoca e si porta a casa l’ultimo regalo, il gol numero 56 con l’Atalanta in 153 partite di serie A. Meglio di lui solo Bassetto, solo Doni. La notte ora lo coccola, e parte il conto alla rovescia del lungo addio. Per capire quando, come, German lascerà il campo, il Comunale, l’Atalanta.

Minuto 37 della ripresa. Vieni German, gli sussurra Reja. È l’attimo. German guarda la panchina, i compagni lo sommergono di abbracci, il Comunale è in piedi, dieci minuti d’attesa, il fischio finale, gli occhi di tutti addosso e i suoi umidi. Lo speaker lo chiama, la squadra lo aspetta al centro del campo con la maglia 19 addosso e quel marchio sulla spalla «per sempre German Denis». Deve parlare ora, German, deve spiegare, deve salutare. L’ha fatto in tv, ma dal vivo, al centro del campo, microfono in mano, ora è diverso. «Dico arrivederci, non addio. Ringrazio Percassi, la società, i compagni, un gruppo straordinario. Sono stato più che felice qui». Di nuovo il magone che lo assale. «Ringrazio la mia famiglia, i miei figli». E via al giro di campo.

Un boato lo attende. «German German Denis, Denis». Sono le venti e dieci. German da un secondo ha infilato il tunnel, fuori dall’Atalanta, già dentro la sua storia. Adios gringo y suerte. E un giorno dei prossimi, all’Independiente, ricordati quando eri il Tanque, il gol dell’Atalanta.

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