La chiesa di Longuelo 50 anni dopo
È iniziato il restauro, servono fondi

Pino Pizzigoni aveva chiaro in mente l’effetto che questa chiesa di nuova concezione avrebbe dovuto generare. Scriveva: «Se si riconoscerà che le forme nel nostro caso sono dettate più dal materiale e dalle forze, che dalle regole geometriche, più da una volontà che da un’esigenza funzionale... se si riconoscerà che le pareti piuttosto che fare da involucro di un contenitore generano veramente uno spazio interiore, nel senso di spazio spirituale: allora, se sarà così, vorrà dire che non c’è antagonismo fra arte e scienza, ma c’è relazione».

Dice don Massimo Maffioletti, parroco di Longuelo: «Io sono convinto che questa architettura sia una specie di testamento di quel grande architetto bergamasco. Morì nel 1967. La chiesa della Beata Vergine Immacolata fu consacrata il 26 giugno del 1966. Io sono il parroco di questo quartiere, sono arrivato quasi otto anni fa. È difficile esprimere il senso di raccoglimento e di spiritualità che questa chiesa ispira quando sei dentro, quando preghi, quando celebri una funzione».

Ma la chiesa di Pino Pizzigoni, la tenda di cemento armato, cinquanta anni dopo è malata. La cura costa ben 500 mila euro: la parrocchia sta cercando aiuto, ha già raccolto 110 mila euro, grazie all’apporto dei cittadini e a un significativo contributo della Fondazione Creberg (20 mila euro). Al capezzale è intervenuta l’impresa Poloni, ci sono diversi professionisti. Oggi sono riuniti nella casa parrocchiale: ing. Luigi Coppola, direttore dei lavori, arch. Paolo Belloni, direttore artistico, Roberto Gritti, coordinatore della sicurezza, Sperandio e Sergio Poloni impresari, Diego Pasta responsabile unico del procedimento.

Spiega Coppola: «Si tratta di un’opera davvero particolare che rende protagonista il cemento armato a vista, lo definisce come elemento estetico in una soluzione di forma che lascia ammirati. Se questo edificio si trovasse in una città francese o tedesca sarebbe già monumento nazionale».

Monumento nazionale. La città - spiegano i professionisti - forse non se ne rende pienamente conto. Quando la chiesa venne inaugurata lasciò molto perplessi i parrocchiani e non solo: era troppo avanti. Che razza di forma aveva elaborato l’architetto? Che cosa erano quelle colonne oblique, quelle curve, come veli di cemento, nell’interno? Dove erano finite la belle e diritte navate? Dice Paolo Belloni, architetto che si occupa della direzione artistica del restauro: «Abbiamo tenuto un’attenzione di tipo filologico verso questa struttura che per la sua epoca era molto ardita, e anche per la nostra, a dire il vero. L’edificio è segnato da irregolarità, dovute ai metodi di lavoro dei primi anni ’60. Abbiamo deciso di non annullarli. Il restauro riguarda soprattutto i calcestruzzi. Per esempio vengono demolite le parti esterne dei puntoni, quelle specie di colonne oblique, perché ormai sgretolate. Nel sostituirle riproduciamo i difetti visivi originali».

I lavori vengono eseguiti dall’impresa Poloni. Dice il decano, Sperandio Poloni: «Io ero giovane, facevo già il muratore. Venivo qui a vedere, ad ammirare quello che stavano facendo. Mi ricordo l’impalcatura in ferro e legno, gli operai che facevano il calcestruzzo sul posto. E vedevo la meraviglia di queste vele di cemento armato, spesse soltanto quattro centimetri che venivano stese fra un punto e l’altro. Non avrei mai pensato che cinquanta anni dopo sarei stato qui io a restaurarle». Un restauro del moderno, un’idea alla quale bisogna fare l’abitudine. Dice Luigi Coppola che bisogna conservare, consolidare preservare. Lavorare perché la struttura emerga dal restauro più solida rispetto anche a quando era nuova. Dice don Massimo: «La chiesa venne progettata prima del Concilio. Ma Pizzigoni con la sua idea della “tenda” anticipava i nuovi orientamenti».

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