L’Austria celebra i 200 anni di Stille Nacht
La versione italiana è di un bergamasco

È forse la canzone natalizia più amata: Stille Nacht. Ma sta anche al centro di leggende, episodi di storia, film e opere d’arte. Con quel tanto di riferimenti bergamaschi che è bello ricordare.

Quest’anno la città di Salisburgo ha deciso di festeggiare i 200 anni della canzone. Venerdì 25 novembre a Mariapfarr è stata presentata un’emissione filatelica (4 francobolli da 0,68 €) delle Poste austriache per celebrare la ricorrenza dei 200 anni del testo di Joseph Mohr. Ma cominciamo dalla genesi della canzone di Natale per eccellenza. Sino a poco fa si ripeteva che era nata nella notte del 25 dicembre 1818, quando il curato della chiesa di San Nicola in Oberdorf, Josef Mohr, essendosi rotto l’organo, inventò lì per lì un brano per due voci soliste con coro chiedendo aiuto all’organista, Franz Xaver Gruber. Poi si è scoperto che la composizione era stata scritta già nel 1816 a Mariapfarr, prima sede parrocchiale di Mohr (dove nel 1995 se ne è scoperta una copia autografa). Nessun dubbio comunque sulla paternità di parole e musica e sull’immediato consenso ottenuto nel mondo. Brilla con il suo miracolo la vigilia del Natale 1914, primo della Grande Guerra, quando i soldati, nei pressi di Ypres, uscirono dalle trincee per ornare di candele gli alberi attorno cantandola. Un episodio riproposto dal regista Christian Carion nel suo Joyeux Noel (film che vinse il Leone d’oro al Festival di Berlino). Ma quanto ad arte c’è dell’altro e vede l’interpretazione del grande Giacomo Manzù. Un altro riferimento bergamasco è nell’autore della versione italiana ufficiale: «Astro del cielo» è stata scritta da monsignor Angelo Meli. Noto a Bergamo non solo per gli interessi musicali, ma rivolti anche alla filosofia e alla bibbia, alle scienze e alla storia, priore della basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo, epistolografo graffiante. Pur esperto conoscitore del tedesco, non realizzò una traduzione di Stille Nacht, ma su quelle note riscrisse a metà del ’900 il testo lirico che conosciamo. Che prende il via con un’immagine siderale e, paragonato all’«astro del ciel», il «pargol divin» subito ricorda nelle parole «mite agnello redentor» il destino di quel bambino.

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