La vita è a ostacoli, ma il cuore è grande
Il motto di Vittorio: mai arrendersi

Buttare il cuore un po’ più in là, guardare sempre avanti sembra facile quando «la vita è un’autostrada» come canta Claudio Baglioni. Vittorio Imberti di Seriate, però, che in passato ha fatto il navigatore nei rally, ha imparato a sue spese che seguendo piste accidentate ogni tanto bisogna frenare e adattarsi alle deviazioni, l’importante è non mollare mai.

A quarant’anni ha già dimostrato più volte di avere la tempra del lottatore.Ha incominciato a soffrire di colite ulcerosa, una patologia cronica dell’intestino, quando aveva quattro anni: «Ero solo un bambino – spiega – e mi sembra di essere malato da sempre. Non ricordo di aver mai vissuto una condizione diversa».

All’inizio i sintomi di Vittorio, che allora abitava con i genitori a Gazzaniga, non sembravano così preoccupanti: «Avevo frequenti mal di pancia, e poi gastroenteriti continue, i medici non capivano le cause. Col tempo però le mie condizioni si sono aggravate e sono stato in diversi ospedali prima a Bergamo, poi a Pisa e a Pavia, finché è arrivata la diagnosi e ho iniziato le terapie. È da quando avevo sei anni che assumo dosi massicce di cortisone».

La situazione si è normalizzata e intanto Vittorio è cresciuto, conducendo la stessa vita dei suoi coetanei: la scuola, lo sport, gli amici. «Ogni sei mesi – chiarisce – dovevo eseguire dei controlli. Così quando sono arrivato alle scuole medie i medici hanno scoperto valori insoliti nella funzionalità del fegato e hanno quindi capito che avevo anche la colangite sclerosante, una malattia che interessa fegato e vie biliari, spesso associata alla colite. Allora era ancora asintomatica, ma la mia dose quotidiana di farmaci è aumentata».

Vittorio, per quanto fosse ancora un ragazzino, sapeva che la sua salute dipendeva dalle medicine che i genitori gli consegnavano ogni giorno: «Nonostante questo – sorride – non mi sono mai sentito malato. Mi pesavano gli effetti collaterali del cortisone, nel periodo dell’adolescenza ero un po’ grosso e non mi sentivo a mio agio con il mio corpo, ma in fondo capita a molti, anche se non assumono farmaci». Vittorio ha preso il diploma di perito elettrotecnico: «Giocavo a calcio, seguivo corsi di judo, ma la mia vera passione sono sempre stati i motori: ho fatto per anni il navigatore di rally (il co-pilota). Dopo la maturità ho incominciato a lavorare come venditore per un’azienda che produceva carrelli elevatori».

Nel 2005, però, proprio pochi giorni dopo un rally, le condizioni di Vittorio si sono aggravate: «Da un po’ mi sentivo stanco, ma non ci avevo fatto caso, pensavo che fosse colpa del lavoro, degli impegni». Così a 24 anni si è ritrovato di nuovo ricoverato in ospedale a Bergamo: «Il mio fegato funzionava ormai soltanto al 40%, e nel giro di pochi giorni mi hanno comunicato che avrei avuto bisogno di un trapianto. È stato un colpo durissimo e inaspettato. Non avevo mai smesso di sottopormi a controlli regolari, ma la mia malattia si comportava, a giudizio degli specialisti, in modo un po’ insolito, con periodi alterni di quiete e di risveglio. Avevo accanto la mia famiglia e i miei amici: senza di loro non so come avrei fatto, mi sentivo a pezzi, ero debolissimo».

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