Addio a Bruni, Bergamo nel cuore
Esempio di democrazia e giustizia

La città in lutto per la perdita dell’avvocato e amministratore: si è arreso martedì 10 settembre a una lunga malattia. Una carriera costellata di incarichi, svolti con stile e dedizione. Su L’Eco di Bergamo sei pagine per ricordarlo.

Sindaco, consigliere regionale, presidente di Sacbo. Ma soprattutto avvocato e socialista convinto. Sempre, fino all’ultimo giorno. Bergamo piange Roberto Bruni: si è spento martedì 10 settembre dopo una lunga malattia. Lo scorso aprile aveva compiuto 70 anni. Lascia la moglie Maria Teresa Rota, conosciuta sui banchi del liceo e sposata nel dicembre 1973, le figlie Barbara - avvocato come il padre - e Federica, pediatra, al suo secondo mandato tra i banchi di Palafrizzoni, rieletta lo scorso maggio con il Pd dopo una prima esperienza con il Patto Civico.

Nato a Bergamo, maturità classica al «Sarpi», laurea con lode in Giurisprudenza nel 1973 alla Statale di Milano, avvocato penalista di grido, già presidente della Camera penale della Lombardia orientale per due mandati consecutivi e membro di Giunta nazionale dell’Unione delle Camere penali italiane, Bruni ha masticato codici e politica fin da piccolo. Suo padre Eugenio, avvocato penalista e civilista, scomparso nel 2010 a 92 anni, socialista di provenienza prima liberale e poi radicale era stato arrestato nel 1941 e condannato a 3 anni di carcere dal regime fascista. Una volta uscito, diventa partigiano nelle brigate di Giustizia e Libertà. Preso dai nazifascisti viene internato a Dachau insieme al fratello, che non tornerà mai a casa. Si chiamava Roberto, il nome che Eugenio dà a suo figlio 4 anni dopo la Liberazione.

Il padre è per 3 mandati, dal 1960 al 1975, tra i banchi del Consiglio comunale, in area socialista. Il nonno paterno Luigi lo aveva preceduto dal 1946 al 1951 nella fila liberali, mentre quello materno, Giovan Battista Fumagalli, avvocato, negli stessi anni è stato vice del sindaco Ferruccio Galmozzi. Con modelli familiari del genere, per Roberto dedicarsi in parallelo all’avvocatura e alla politica è quasi naturale, pressoché automatico: antifascista convinto, convintissimo, come il padre, prende la tessera del Psi nel 1970 e 5 anni dopo diventa consigliere comunale, ma non a Bergamo, ad Alzano Lombardo. L’arrivo a Palafrizzoni è datato 1981, in sostituzione della dimissionaria Silvana Tacchio. Riconfermato nel 1985, nel 1990 entra nella Giunta di Gian Pietro Galizzi insieme ad altri esponenti socialisti come Carlo Salvioni e all’amico di una vita, quel Paolo Crivelli scomparso lo scorso ottobre che definirà «quasi un fratello, un pezzo di vita». Per cinque anni si occupa di Personale, Anagrafe e rapporti con i cittadini in quella che sarà l’ultima Giunta della Prima Repubblica.

Nel 1999 si candida alle Europee e nel 2001 alla Camera con l’Ulivo dove raccoglie il 40,5% dei consensi, dato insufficiente a battere Mirko Tremaglia. Nel 2004, dopo una lunga e complessa trattativa interna, il centrosinistra decide di schierarlo come sfidante di Cesare Veneziani a Palafrizzoni: lo appoggiano Ds, Margherita, L’Aratro, Italia dei Valori, Verdi, Comunisti Italiani, Rifondazione e una lista civica ad personam (che porta il suo nome) che risulterà decisiva. Al primo turno raccoglie il 45,7% dei consensi e va al ballottaggio potendo contare anche sull’apparentamento con l’Udeur-Ap.

Nel faccia a faccia con Veneziani e un centrodestra che sconta qualche frattura interna ha la meglio con il 53,9%. Il suo è un quinquennio molto intenso e a tratti difficile: perde subito il vicesindaco Giovanni Sanga per divergenze sulla cessione della municipalizzata Bas, mette alla porta l’assessore Roberto Trussardi dopo una furibonda lite in Giunta, ma questo non gli impedisce di cimentarsi in sfide importanti come il rilancio dell’area dello scalo merci e diversi Piani integrati d’intervento.

In parallelo non lascia mai da parte mai la sua professione di avvocato che lo porta ad essere protagonista di numerosi processi come legati alla cronaca nera, e non solo, come i casi Ubi e Locatelli: un autentico principe del Foro, come universalmente riconosciuto. Un punto di riferimento per intere generazioni di avvocati, come del resto lo era stato il padre Eugenio. Nel 2009 tenta la riconferma a Palafrizzoni, ma Franco Tentorio lo batte già al primo turno: una delusione terribile che lo segna molto, ma nei cinque anni successiva sarà sempre lì tra i banchi dell’opposizione a battagliare con il centrodestra. Tre anni dopo si iscrive al Pd, seppure da una posizione critica, soprattutto sulle modalità delle primarie: nel 2013 diventa consigliere regionale con il Patto Civico, un modello su scala più ampia della sua lista Bruni. L’ultimo suo impegno pubblico lo vede alla presidenza di Sacbo, la società che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio dove nel 2017 subentra a Miro Radici, nel primo Cda senza figure «storiche» come Emilio Zanetti e Cesare Zonca. Un mandato a suo modo delicato, alla ricerca di nuovi equilibri con la necessità di proiettare Orio in una dimensione più ampia. Compito svolto egregiamente in forza della sua naturale tendenza alle relazioni e al confronto. L’ultima sua apparizione pubblica in Sacbo è stata a fine luglio, per la conferma di Alitalia ad Orio: era già molto stanco e affaticato ma non aveva voluto mancare alla sua ultima, nuova, sfida.

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