Caduta dei 5 Stelle
L’identità in gioco

Luigi di Maio è sparito dai radar e ha taciuto per due giorni prima di commentare la sonora sconfitta delle regionali in Abruzzo. Un tempo che è sembrato infinito a militanti e dirigenti del Movimento in attesa di una parola, una consolazione, una speranza perdipiù mentre sui social fioccavano ironie e sarcasmi sul leader desaparecido. Finalmente nel pomeriggio di ieri il capo politico si è riaffacciato sul web con un post pubblicato dal «Blog delle Stelle». E ha detto due cose. Primo, che non è vero che il Movimento è in declino, dal momento che – ricorda - alle elezioni amministrative è sempre andato peggio che alle politiche.

Secondo, che il problema vero è organizzativo e che bisogna darsi una struttura, magari anche accettando di farsi affiancare da liste «amiche» (tabù primigenio). Dunque, stop alle lamentazioni: basta riorganizzare le fila e alle elezioni europee arriverà la consueta cascata di voti. Ricordano, queste parole, il Pd renziano quando, avendo dimezzato i voti, sosteneva che il problema stava tutto nella comunicazione: «Non abbiamo comunicato le tante cose che abbiamo fatto» è un po’ come dire «abbiamo perso perché non abbiamo nominato i segretari regionali e fatto le liste civetta». Nell’un caso come nell’altro, come si vede, viene allontanata l’analisi del perché gli elettori ad un certo punto ti hanno abbandonato: autocritica, insomma, zero.

Ciononostante la ricetta di Di Maio potrebbe persino essere un atto di coraggio se sono vere le indiscrezioni secondo cui Casaleggio jr., il guru intorno al quale ancora ruota la creatura di Grillo, sarebbe contrario a distribuire cariche e pennacchi di una «struttura di partito» mantenendo invece il centro sul web e sulla piattaforma Rousseau. Ma tant’è. Bisognerà vedere quale sarà la riflessione di Di Maio e di Casaleggio dopo il prossimo voto regionale, quello della Sardegna, che si terrà tra due sole settimane e che potrebbe facilmente rivelarsi il bis dell’Abruzzo. Forse il vicepremier dovrebbe considerare che da molto tempo ormai i sondaggi danno il M5S in netto calo rispetto alla Lega, più o meno negli stessi termini in cui si è manifestato domenica in Abruzzo. Ma le rilevazioni non toccano questioni locali, amministrative o di radicamento sui territori: si riferiscono in generale alle intenzioni di consenso politico. E questa è dunque la vera domanda: quanto si è deteriorata l’offerta politica dei 5 Stelle dopo solo nove mesi di governo, di gestione del potere e di coabitazione con la Lega? Sono le stesse domande che ogni giorno si pongono deputati e senatori grillini, inquieti di fronte ai compromessi che la pratica di governo impone e ai prezzi elettorali che bisogna pagare. È per questo che sulla Tav sarà difficile che i grillini cedano: per loro è diventata una questione di identità, di fedeltà al modello originario, alle idee di Grillo sulla decrescita felice e alla inutilità delle Grandi opere considerate come strumento di corruzione dei partiti. Allo stesso modo sarà difficile far digerire ai senatori il no alla richiesta del Tribunale dei ministri di Catania di procedere nei confronti di Salvini. Sarà quella inevitabilmente la scelta di Di Maio - diversamente il governo salterebbe - ma non per questo i parlamentari la accetteranno facilmente (e al Senato ci sono già state alcune espulsioni). Presto poi ci sarà da decidere sulla autonomia regionale chiesta dalle regioni del Nord a guida leghista (e dall’Emilia Romagna piddina) che l’elettorato meridionale dei grillini considera come lo strappo dei ricchi.

Insomma, tutti temi di negoziato politico, normali in una coalizione tra forze diverse e anzi elettoralmente avversarie, che però avveleneranno l’aria da qui a fine maggio quando finalmente si verificheranno i veri rapporti di forza tra Lega e 5 Stelle. Ma da lì in poi molto probabilmente comincerà tutta un’altra storia.

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