Conti, la saggezza
di fare una scelta

I contenuti veri della manovra finanziaria sono ancora in gran parte ignoti persino agli stessi estensori. L’ipotesi più probabile di soluzione del rebus da 30 miliardi, è quella non del cambiamento ma del compromesso, un po’ a me e un po’ a te, con il ministro Tria in un angolo, ma non perdente. Se fosse perdente e addirittura dimissionario, i costi per il Paese sarebbero ancora più elevati. La soluzione tarallucci e vino consentirebbe di aprire formalmente la partita (magari per poi alzare la posta in Parlamento via fiducia), ma non è una buona soluzione, forse è anzi la peggiore.

Certo, sempre meglio che scassare i conti dello Stato, buttando sul tavolo tutti i 100 miliardi richiesti dal contratto-sommatoria dei sogni. Ma si salverebbe solo il patto di potere che oggi – insieme alla mancanza di alternativa - consente di tenere in piedi il prof. Conte. Rischioso, per un Paese che sta già rallentando e crea nuovo debito via spread e fine del Quantitative easing.

I tre capitoli di spesa (reddito garantito, flat tax, Fornero) che il Governo «deve» mettere in campo, perché il populismo non fa sconti a se stesso, e «pretende» (Di Maio con Tria) di rispettare i patti anche più spericolati, non sono bazzecole solo simboliche, tipo colpire qualche categoria antipatica, perché «privilegiata», ancorché di poche persone, o additare genericamente sprechi, mangiatoie, ruberie. Cose rumorose (30 miliardi promessi e ora scomparsi) che vanno bene per raccogliere voti, ma poco utilizzabili in concreto per fare il Bilancio dello Stato.

Per dimensioni, quest’ultimo richiede interventi forti, che facciano male non a pochi pensionati d’oro, la cui rivolta produce al massimo benefici per avvocati da ricorso, ma a categorie e settori grossi, o che possono creare problemi: autotrasportatori che bloccano i rifornimenti, per fare un esempio «cileno».

I miliardi necessari per i tre capitoli citati possono essere messi in campo con gradualità, è vero, ma la gradualità è selezione, e i beneficiari chiedono tutto subito, non accettano code se non quella per presentare il modulo del reddito garantito.

Cominciare dalle cosiddette «pensioni di cittadinanza», senza contemporaneamente alzare quelle poco sopra i 780 euro frutto di decenni di contributi, apre un conflitto tra vicini di sportello: perché a te danno gratis quello che io mi sono sudato?

Quanto alla flat tax, che è una scelta azzardata ma che in astratto ha un suo senso, perché scommette sullo «choc» di una tassazione finalmente avvicinabile, o la fai davvero al 15% (favorendo però i ricchi), o non produce nessuno choc. Sbagliava Forza Italia a chiederla al 23%: solo buchi in entrata e nessuno scossone al sistema.

Quanto infine alla Fornero, la materia è tra le più complicate che esistano, tecnicamente. È materia innanzitutto per matematici, chiede strumenti algoritmici e attuariali prima ancora che polemiche in tv, e i conti non tornano mai esattamente. Anche la quota 100 costa, non si sa neppure quanto.

Insomma, se si vuol fare una rivoluzione discutibile ma «autorizzata» dal voto popolare, non si risolve nulla con le vie di mezzo. I costi sono notevoli comunque e i risultati sono appunto da via di mezzo.

E poi occorre, tra un insulto e l’altro, avere il via libera di Bruxelles. Oggi siamo all’impegno di un deficit allo 0,8% lasciato dal famigerato governo precedente. Potrà anche arrivare all’1,6%, non certo a sfiorare il 3% promesso da Salvini a «Berghem Fest», ma questi incrementi bastano a malapena per sterilizzare l’Iva e fare le spese indifferibili. Quali acrobazie sul fronte delle entrate potranno dare risorse nuove e veloci, a parte un condono sostanzioso, senza vergognarsi della parola?

Saggezza vorrebbe, nel loro interesse, che i soci di governo scegliessero un solo obiettivo fra i tre principali, cercando di far bene quella determinata scelta, utilizzandola come bandiera comune. Ma non andrà così, perché ognuno, in questa campagna elettorale permanente, deve vantare la propria primazia, e magari, come per la Lega, gettare qualche contentino in direzione centrodestra. Ma così sarà una finanziaria omnibus, uno spezzatino senza sugo.

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