Legge elettorale
Partiti immaturi

Si torna a parlare della legge elettorale. Non senza strumentalità. La Lega, ad esempio, cerca di forzare i tempi per l’indizione di un referendum abrogativo che elimini dalla legge in vigore la quota proporzionale e ci lasci un sistema maggioritario. E lo fa, anziché con le firme dei cittadini, chiedendo alle Regioni (ne basterebbero 5), controllate dal centrodestra, di deliberare una medesima richiesta di referendum, perpetuando così un uso strumentale delle autonomie regionali, come fossero soldatini agli ordini lanciati da Pontida.

L’approccio dei partiti a riguardo è senza innocenza, ma questo tentativo di assoldare enti che dovrebbero essere autonomi è davvero sfacciato. Indubbiamente, la legge elettorale in vigore (il cd Rosatellum) meriterebbe di essere riformata: la miscela di un sistema prevalentemente proporzionalistico con recupero maggioritario (per il 37% dei seggi) appare priva di senso. Non risponde né all’idea di un fedele rispecchiamento delle forze politiche, né all’obiettivo di favorire la formazione di una maggioranza. I sistemi misti, com’era il Mattarellum, nascono per correggere con una quota proporzionale un sistema prevalentemente maggioritario, garantendo una rappresentanza significativa alle minoranze.

L’opposto non mi pare abbia senso. In questa contesa, molti hanno preso posizione per la re-introduzione di un sistema maggioritario (a turno secco o doppio). Il sistema maggioritario, da non confondere con gli ibridi arbitrari dei premi di maggioranza, interpreta, legittimamente, la democrazia come selezione di élites governanti e trasforma la competizione elettorale in un sistema che mira a incoronare un chiaro vincitore. Si può capire l’intenzione che muove tali proposte, al cospetto di una frammentazione delle forze politiche che sembra nascere soprattutto per assecondare ambizioni e narcisismi personali. E tuttavia, la proposta di un maggioritario sembra voler forzare ciò di cui mancano i presupposti: un bipolarismo maturo. A questo esito manca pressoché tutto. I poli sono almeno tre. Il M5S non ha una precisa identità politica, ma non se ne può forzare la rottura con marchingegni elettoralistici. Il centro-destra a trazione salviniana è tutto fuorché una rassicurante formazione d’ispirazione liberale. La decisa svolta a destra impressa da Salvini mette in discussione capisaldi del patto costituzionale.

Il centro-sinistra è sfarinato, ma questa non è una novità. Il maggioritario, lo si vede nell’involuzione del sistema britannico, funziona bene solo entro un ordinamento costituzionale stabilizzato, in cui l’alternanza possa essere vissuta serenamente perché non provoca scossoni alle fondamenta. C’è da dubitare che queste condizioni sussistano da noi. Voler impiantare un sistema maggioritario in questo quadro partitico gravemente immaturo rischia di concentrare il potere di governo in capo a un’infima minoranza, frutto congiunto dell’effetto astensionismo (non certo trascurabile) e dell’azione polarizzante della legge maggioritaria. Il male minore sembra preservare quel poco di moderazione che la presenza di orientamenti politici differenziati comunica a un Governo di coalizione e dunque, per tornare al tema, una legge proporzionalistica con ragionevole (fino al 5%) soglia di sbarramento. Infine: trovo scoraggiante che, ancora, e nonostante i limiti imbarazzanti delle nostrane leadership partitiche, si pensi di risolvere i problemi politici italiani con l’illusione della concentrazione della capacità decisionale, non esitando, all’uopo, a mortificare le autonomie territoriali. Proprio da queste, e dalla paziente ricostruzione di un tessuto democratico di base, potrebbe e dovrebbe invece ripartire un’Italia più civile.

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