Pnrr, il nemico è la burocrazia

Ci permettiamo sommessamente di fare una proposta: mettere in ogni ministero un display con un conto alla rovescia che indichi i giorni che mancano alla scadenza dell’attuazione del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quello che il governo Draghi, per uscire dall’impasse quasi cacofonico dell’acronimo, ha ribattezzato «Italia domani»: un auspicio più che altro, perché quando tutto si scontra con la realtà e la burocrazia il rischio è fermarsi all’altroieri.

Sul piatto ci sono 235 miliardi di euro tra risorse europee e nazionali da mettere a terra a breve termine e trasformare in opere fi-ni-te entro la scadenza del 30 novembre 2026, oltre a una quantità non ancora definita di finanziamenti che intervengono anche oltre questa data.

Premessa: il piatto è ricco, l’occasione unica, la posta in gioco altissima. Ma nulla di tutto ciò giustifica che per arrivare al risultato si passi sopra le regole. Anzi, a maggior ragione bisogna tenere ben aperti gli occhi per evitare che la fretta non solo sia cattiva consigliera, ma viatico a infiltrazioni poco chiare se non malavitose nella gestione dei vari iter e soprattutto degli appalti. Per contro, considerando il livello medio di opacità e le incrostazioni del sistema autorizzativo e burocratico del Belpaese, è semplicemente illusorio pensare di giocare una partita nuova, epocale, con regole vecchie. E soprattutto con chi ha fatto della melina e del mandare la palla in tribuna la regola di vita. O sopravvivenza.

Scriviamo questo qualche giorno dopo il primo round della Conferenza di servizi sul treno per Orio, dove si è arrivati a livelli di bizantinismo assoluto. Nessuna intenzione da parte nostra di esprimerci in merito al progetto, non in questa sede, solo evidenziare procedure farraginose e un’assoluta mancanza di certezze su iter, tempi e responsabilità che rischia di mettere in crisi qualsiasi opera, a maggior ragione quelle che devono essere realizzate in tempi certi come da Pnrr.

In sintesi: la Conferenza si deve esprimere su un progetto definitivo licenziato da Rfi, nel frattempo modificato dalla società medesima prendendo spunto dal parere del ministero dei Beni culturali e dalle osservazioni alla Via (Valutazione d’impatto ambientale) presentate da Comune e Regione, ma di fatto non ancora processate dal Mite (ministero della Transizione ecologica, fu Ambiente) che non ha chiuso la procedura, come confermato dal suo rappresentante. Piccolo dettaglio: il termine per la presentazione delle osservazioni era il 21 dicembre, ma del 2020. In un anno e qualcosa il Mite non ha ancora chiuso la Via e, se proprio dobbiamo dirla tutta, i colleghi alla Cultura il parere l’hanno espresso solo lo scorso novembre, sentendosi pure rimbrottare perché sarebbero andati oltre i confini d’ambito, esprimendo anche una soluzione alternativa. Questo per capire quanto siano surreali procedure e burocrazia e difficili i rapporti tra i dicasteri, fattore emerso in maniera lampante anche in sede di Conferenza. Per un’opera comunque commissariata (e con Rfi molto determinata), figuriamoci le altre.

Lo stesso ragionamento si può fare pari pari per il Piano di sviluppo aeroportuale di Orio al Serio (in attesa da mo’) e per altre opere, presenti, passate e future. Il paradosso è che questa situazione non aiuta nessuno, nemmeno chi si dice contro: non si difendono gli interessi (legittimi) dei cittadini perplessi o preoccupati alimentando ambiguità, dicendo e non dicendo o mascherando iter eterni a guisa di attenzione alle istanze del territorio. In questo modo si aggiunge solo incertezza a incertezza, esattamente quello che non serve al Paese in generale e in questa fase storica di ripartenza in particolare.

Il Pnrr non può e non deve essere un «liberi tutti», ma nemmeno trasformarsi nell’ennesima occasione persa per mancanza di tempi certi, chiarezza e decisioni, tanto più davanti a quei Comuni che stanno facendo salti mortali per restare al passo con personale comunque insufficiente e scenari inediti e indefiniti. Non servono leggi speciali e nemmeno prove di forza, ma solo responsabilità: quella di dire sì o no. Ma dirlo.

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