Se non c’è dialettica
si afferma la falsità

Sta scomparendo la dialettica, sommersi come siamo da un’infinità di affermazioni perentorie. Ce ne accorgiamo, giorno dopo giorno, in un sempre più allargato coacervo d’indignazione e comune corresponsabilità. Ciò che si è terribilmente perso è il piacere intellettuale di ragionare con l’altro sapendo ascoltare opinioni diverse dalle nostre, dalle quali trarre elementi utili per temperare i nostri convincimenti. C’è sempre un’altra via, un altro punto di vista, uno sguardo più arioso da cui osservare fatti e situazioni con maggiore serenità d’animo e minore animosità.

Ce lo hanno insegnato in primis, molti secoli fa, Socrate e Platone, illuminati esponenti dell’antica sapienza greca, che posero al centro del loro pensiero filosofico l’importanza della dialettica e dell’ascolto nella ricerca della verità. A loro si contrapposero i sofisti, che esaltavano il completo rifiuto del dialogo, utilizzando il discorso soltanto per affermare esclusivamente la propria ragione. Questi ultimi sarebbero ora pienamente a loro agio nel nostro povero mondo che idolatra eroi di cartapesta, rinunciando a quel faticoso comune cammino di confronto e reciproco arricchimento basato sull’accettazione dei tesori e delle mancanze che contraddistinguono ogni essere umano.

Ogni aspetto della contemporaneità mediatica - social, internet, tv, carta stampata - è impoverito da pretestuosi alterchi per lo più tra esponenti di primo piano della politica, delle istituzioni e della presunta cultura. Dibattiti fini a se stessi, la cui audience è direttamente proporzionale - lo dicono gli indici d’ascolto - al grado di volgarità e litigiosità del confronto. Senza che mai, neppure per dieci secondi, qualcuno dei partecipanti provi ad ascoltare un perché diverso dalla ricetta surgelata preparatagli da qualche suo mediocre portaborse. L’aspetto in prospettiva più grave è che tale disabitudine ad un «ascolto attivo» dell’altro si sia ormai diffusa tra i giovani nativi digitali, cui spetta ineluttabilmente la responsabilità del domani. Una parte significativa di loro appare spenta, sfiduciata, conformata ad atteggiamenti supponenti e superficiali quali misure di difesa contro un avvenire indecifrabile.

Senza ascolto non c’è relazione. Senza relazione non c’è possibilità di comprensione vera di sé e dell’altro. Muore, così, il fondamento di ogni civiltà autenticamente libera, che è il senso del dubbio; quella salvifica predisposizione d’animo in grado di sconfiggere o, quanto meno, mitigare certi frequenti deliri di onnipotenza che assalgono soprattutto gli appartenenti a caste privilegiate e i detentori di grandi e piccoli poteri.

Giacomo Leopardi, nel suo Zibaldone, rivolgendosi alla sorella Paolina, diceva: «La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere».

Più di un secolo dopo Joseph Ratzinger, nel suo libro «Introduzione al cristianesimo», riferendosi all’insegnamento dei gesuiti che avevano indicato l’importanza del dubbio e la necessità di coltivarlo, così si esprimeva: «Tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a modo suo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza».

Ogni volta in cui viene meno il dubbio, dilaga inesorabilmente l’intolleranza verso ogni forma di diversità, a volte anche in buona fede. Perché senza un onesto senso del dubbio scompaiono gli specchi della coscienza individuale, quelli dentro cui poter guardare le nostre ammaccature esistenziali, tali e quali a quelle dei nostri presunti antagonisti, quali che siano le terre di provenienza, gli orientamenti sessuali, il colore della pelle e le religioni più o meno professate.

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