I giovani e la Chiesa
di Bergoglio

Mentre un prete, rivestito della sua corazza liturgica, l’aspersorio come spada, benediva in Polonia il fuoco che bruciava i romanzi di Harry Potter e le borsette di Hello Kitty, Jorge Mario Bergoglio s’apprestava a pubblicare la sua Esortazione apostolica in forma di lettera ai giovani «Christus vivit». È accaduto martedì 2 aprile. A Danzica un sabba di purificazione scomposto di cristiani con l’incubo della realtà. A Roma un Papa che non vuol vedere una Chiesa sempre in guerra per due o tre temi che l’ossessionano. Il contrappunto è drammatico.

Da un parte c’è una Chiesa che chiede di essere lasciata in pace dalla storia e costruisce fortezze. Dall’altra una Chiesa che si lascia interpellare anche da Harry Potter, ascolta, non si difende, non impone, anzi è curiosa di una realtà che altri vorrebbero profondamente diversa. Quale Chiesa Francesco narra nella Esortazione apostolica? Non c’è una generazione che rischia di più. È il mondo intero e la storia, tutte le generazioni insieme, che rischiano la pelle se la Chiesa si perde il Vangelo per strada, diventa vecchia e si trasforma in un museo di riti e di volti di cera. Non è questione di biodiversità religiosa. Non c’entra il «fattore F», la Chiesa in uscita dalla sue certezze antiche, meno burocratica, più povera, forse più umana, sicuramente meno legata al potere. Il Papa ha scritto una lettera ai giovani per parlare a tutti, laici ed ecclesiastici, credenti e non credenti. L’ha indirizzata al popolo di Dio, spesso inconsapevole di esserlo, che tuttavia Dio non dimentica, nemmeno quando decide di venerare i vitelli d’oro.

Bergoglio ha scritto una lettera sulla Chiesa in forma di lettera ai giovani, per invitare la Chiesa ad osare, a rischiare, senza temere di commettere errori. Ai giovani chiede un sovrappiù di impegno: non smettere di soffiare nel fischietto per segnalare i falli. Ma non lo fa per furbizia tattica, non scrive a loro perché ha bisogno di un alleato nella sua battaglia antisistema nella Chiesa e sul palcoscenico del mondo globale. Non contrappone giovani e anziani, progresso e tradizione.

C’è un’immagine bellissima nel testo. L’aveva proposta al Sinodo un partecipante venuto delle isole Samoa. Bergoglio ne fa un’icona. La Chiesa come una canoa dove i giovani remano e gli anziani che conoscono le stelle mantengono la rotta. Oggi non sono solo i giovani a chiedere alla Chiesa di essere più fedele al Vangelo. La chiave del rinnovamento della Chiesa e della sua corrispondenza più trasparente alla Parola di Dio sta in una comunicazione più efficace tra le generazioni. I più giovani hanno solo maggiore attitudine allo stimolo e alla provocazione, a volte necessaria. Hanno più risorse per stare nel mondo senza farsi schiacciare, hanno maggiore creatività e fantasia. Forse sono più geniali. Il Papa scommette sul loro ruolo perché non crede che sia una generazione senza Dio o addirittura incredula. Può essere che il filo spirituale sia esile, allentato. E allora scrive per rafforzarlo, declinandolo attraverso le generazioni.

Missione impossibile? No. Complicata certo, ma come lo fu la vita della famiglia di Nazareth e quella di Gesù. Basta non chiudersi nel bunker delle certezze o benedire fiamme purificatrici, o alzare barriere dottrinali a difesa di ciò che viene considerato errore della cultura esterna. Bergoglio non intende irrobustire appartenenze identitarie, né organizzare pastorali giovanili come se fossero l’addestramento dei marines. Lo fa solo perché sempre qualcuno deve correre più veloce e più avanti. Le intuizioni hanno sempre fatto la differenza. E, scrive il Papa nelle ultime righe, «quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci».

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