La risposta al virus procede in ordine sparso dalla scuola al lavoro

Cosa è determinante in una situazione di crisi estrema? La risposta è univoca: la capacità di decidere. Prendiamo la scuola: si fa o non si fa l’esame di maturità secondo le regole usuali? Fino al 18 maggio occorre attendere prima di saperne di più. Nel frattempo i maturandi non sanno come organizzare la loro preparazione. Se si ritorna a scuola valgono le due prove scritte se no vi saranno solo esami orali. Per chi è già costretto tra le mura di casa e vive una condizione di precarietà, una difficoltà in più.

Se si tara l’attenzione su chi deve sostenere l’esame va da sé che determinante è la certezza della regola. Se ci si lascia guidare dalle oscillazioni della pandemia diventa tutto incerto, perché allo stato attuale nessuno sa quando finirà il cosiddetto lockdown. Quindi occorre sapere quale obiettivo è prioritario e poi scegliere.

Anche in Germania le date sono ballerine, nessuno sa quando si potrà tornare alla vita normale. Gli esami di maturità nel Land più colpito dal coronavirus, il Nord Reno Vestfalia, sono stati spostati di tre settimane ma una cosa gli studenti la sanno: l’esame sarà come sempre. Hanno la certezza sul programma e devono adeguarsi solo nella tempistica della preparazione. La difficoltà di definire l’obiettivo in modo non emozionale è il problema che emerge in questi giorni.

Prendiamo la mappatura del territorio. Sappiamo da tempo che il vero problema sono i cosiddetti asintomatici che diffondono il contagio senza averne colpa. Dalla Corea del sud abbiamo imparato che è possibile identificarli e tracciarne i movimenti per seguire gli eventuali contagi procurati. Il Veneto si è mosso in questa direzione. Anche in Lombardia crescono le voci di chi afferma essere prioritario determinare la tendenza con un controllo mirato sugli operatori di prima linea nei settori sanitari, dei servizi sociali, delle forze dell’ordine e poi a seguire con campioni a carattere indicativo sulle varie fasce delle popolazione. Per esempio chi va a lavorare deve sapere se è portatore inconsapevole di contagio oppure no. Non è una cosa facile perché occorre avere una struttura sanitaria capillare e laboratori di analisi in grado di operare 24 ore su 24. E non basta dire che siccome la politica ha tagliato i fondi alla ricerca e alla sanità adesso non gliela facciamo.

Abbiamo raddoppiato i posti in terapia intensiva nello spazio di un mese, a Bergamo in poco più di una settimana è stato allestito un ospedale a supporto del Papa Giovanni ma nel dar il via ad una strategia di contrasto aggressiva siamo ancora agli annunci, Si inseguono gli eventi e si è anche bravi a farlo ma quando si tratta di prevenire, di assumere iniziative ecco che tutti si trincerano dietro alla scienza. La pretesa è che gli scienziati diano una risposta univoca. Niente di più sbagliato le evidenze scientifiche sono fuori discussione ma le conseguenze da trarre spettano ai decisori, non agli scienziati.

Se gli esami sierologici non sono certi al 100%, ma come dice il prof. Galli del Sacco di Milano a fronte dei suoi pur limitati numeri con una valenza stimabile intorno al 94%, non vuol dire che si debba restare fermi. In Germania si riprende il lavoro solo a fronte di un cosiddetto passaporto sanitario. E non è esclusiva tedesca se anche gli imprenditori italiani si muovono in questa direzione e chiedono ai laboratori di validare gli esami compiti sui propri dipendenti. Con una differenza : qui si muovono in ordine sparso. I centri decisionali temono di sbagliare e quindi ognuno si muove in autonomia. La Lombardia ha molte scusanti, prima su tutte il fatto di essersi trovata in Europa prima dentro il ciclone senza alcun preavviso. Ma una volta tanto dai tedeschi si può imparare. I numeri lo dicono.

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