Rianimazioni lombarde piene. «L’onda per il momento non si ferma»

Se è vero che la curva dei contagi sta raffreddandosi, il numero dei positivi al Covid non smette di crescere: impossibile dunque pensare che gli ospedali possano alleggerirsi a breve.

«I ricoveri in Terapia intensiva saliranno anche nei prossimi giorni. Purtroppo non siamo ancora al plateau; speriamo di arrivarci presto, ma non è questo il momento». Ne è convinto Antonio Pesenti, direttore del Dipartimento di Anestesia e rianimazione del Policlinico di Milano e coordinatore delle Terapie intensive dell’Unità di crisi della Regione Lombardia per l’emergenza Covid.

Dottor Pesenti, quando si può pensare di raggiungere il picco di questa ondata?

«Non lo sappiamo ancora, possiamo solo augurarci che accada in fretta».

Nel frattempo, dunque, i ricoveri sono destinati a salire?

«Certamente, anche perché le Terapie intensive rispondono all’incirca 15 giorni dopo, e in ogni caso i malati aumentano tutti i giorni. Certo, ora la crescita appare meno rapida e questo fa immaginare che un giorno si fermerà».

Quanta autonomia hanno ancora le terapie intensive in Lombardia?

«Due anni fa, nel corso della prima ondata, avevamo occupati quasi 1.600 letti, oggi siamo intorno ai 270. Come vede di strada da fare ce ne sarebbe ancora tanta, ma noi non vorremmo più farla».

Chi arriva oggi in terapia intensiva?

«I soliti: soprattutto pazienti non vaccinati e anche qualche vaccinato, con i primi che sono più del doppio rispetto ai secondi. E c’è da dire anche che i vaccinati sono molto più anziani, in media di 10-15 anni, e hanno più comorbilità rispetto a chi non è immunizzato».

Chi ha fatto solo due dosi è più a rischio?

«Diciamo che, in generale, i soggetti più a rischio tra quelli vaccinati sono coloro che hanno ricevuto l’ultima dose da più tempo. Chi ha fatto il richiamo (la terza dose ndr) sta senz’altro meglio di tutti gli altri».

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In che misura i ricoveri di questa ennesima ondata incidono sull’attività ordinaria degli ospedali?

«A incidere non sono i ricoveri in Terapia intensiva, ma la conversione dei letti nei reparti ordinari che impedisce di fatto il ricovero dei malati non Covid. Al momento sono circa 3.500 i letti in meno per i malati ordinari, ed è inevitabile che ci sia una diminuzione soprattutto dell’attività chirurgica».

Quali sono i rischi più grossi ai quali siamo attualmente esposti?

«Si sente dire spesso che la variante Omicron non è pericolosa, ma io penso che non lo sia solo per i vaccinati. Sarebbe utile se ci dicessero quanti, sui circa 300 morti di media al giorno, erano vaccinati e quanti no».

Non c’è il rischio che si prenda questa variante un po’ sotto gamba?

«Non lo so. Posso soltanto dire che chi è vaccinato rischia decine di volte in meno di finire in Terapia intensiva, rispetto a chi non è vaccinato. Questo dovrebbe bastare a convincere».

Due anni dopo lo scoppio della prima ondata abbiamo imparato qualcosa a livello sanitario?

«La situazione non è quella di due anni fa. Il problema, piuttosto, è che siamo stufi: vorremmo tutti una vita normale».

Lei sarebbe a favore di un obbligo vaccinale per tutti?

«Sì e credo che, in mancanza, si dovrebbe essere più rigorosi con le persone non vaccinate; le restrizioni ci sono, ma non ancora abbastanza. La multa di 100 euro non credo sia un deterrente».

Riesce ad essere positivo, pensando all’evoluzione di queste settimane?

«Se non lo fossi non farei questo lavoro. Però non voglio sentir dire che l’epidemia sta rallentando. Il numero degli infetti cresce e non vedo l’ora di imboccare la discesa».

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