Imprenditore e anima dei bersaglieri
Addio a Pilenga, uomo tutto d’un pezzo

Capitano d’industria, di quegli imprenditori tutti d’un pezzo, che hanno saputo vedere lontano, tanto da riuscire a creare un «impero» nel settore del tessile che continua ancora oggi.

Ma anche filantropo, generoso e impegnato nell’associazionismo, come nei bersaglieri, dove ha ricoperto ruoli ai vertici regionali e nazionali. Si è spento nella notte tra venerdì e ieri l’impresario tessile Italo Pilenga, fondatore e patron del gruppo Europizzi di Urgnano, azienda specializzata in tintoria e finissaggio di pizzi e fibre sintetiche artificiali e naturali. Classe 1937, avrebbe compiuto 83 anni il 19 maggio.

Una scomparsa inattesa e repentina, nonostante da tempo soffrisse di problemi polmonari, e che ha suscitato profondo cordoglio nel paese di Urgnano, ma non solo. «Venerdì papà ha cominciato ad avere la febbre e nella notte è peggiorato, spegnendosi all’una e mezza» spiega il figlio Paolo che lo piange insieme ai fratelli Carlo ed Elena e alla mamma Ornella. I funerali saranno celebrati in forma privata martedì alle 14,45 nella chiesa parrocchiale, partendo dall’abitazione di via Barelli.

Italo Pilenga aveva fondato la tintoria di via Provinciale nel giugno 1968 con i soci e amici Luigi Chiappini e Renzo Colombo, puntando fin da subito sulle innovazioni tecnologiche e introducendo nuovi prodotti per rispondere a un mercato in cambiamento. Così, questa piccola tintoria industriale ha cominciato a crescere fino a diventare la realtà che è oggi, in cui sono occupati 110 dipendenti.

«Era generoso, sempre disponibile con tutti – continua il figlio – e si è sempre speso per il suo paese: una ventina di anni fa, per esempio, si era attivato con una cordata di imprenditori per restaurare il campanile di Urgnano». Sostenitore della fanfara Arturo Scattini di Bergamo (che ospitava all’interno della sua azienda), Pilenga è stato anche presidente interregionale e consigliere nazionale dell’Associazione nazionale bersaglieri. Suoi, inoltre, erano gli scenografici tricolori issati sulle mura venete durante l’Adunata nazionale degli Alpini a Bergamo.

Da sempre uomo di destra, non si può parlare di Italo Pilenga senza ricordare la storia, drammatica, della sua famiglia, che per lui è rimasta una ferita aperta. Il 29 aprile del 1945 suo padre Giuseppe, con tre zii e un cugino, fu tra gli 11 fascisti che, durante le rappresaglie partigiane che seguirono la Liberazione, vennero fucilati al muro del cimitero monumentale di Bergamo, senza processo. Italo aveva otto anni e la sua vicenda è stata raccontata da Giampaolo Pansa nel libro «Il sangue dei vinti».

«Mio padre era un vero fascista – aveva raccontato Italo in un’intervista – ma non fece del male a nessuno. In paese cercava di aiutare i giovani che non si volevano arruolare nella Repubblica Sociale favorendo l’ingresso nella Todt, come lavoratori. Non mi importa il revisionismo storico, non sta a me dire se avesse ragione mio padre e torto chi è stato dall’altra parte. Io vivo perché il 25 Aprile si trasformi in un giorno di pacificazione».

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