Selvino, morto in bici per una buca
A processo i cantonieri della Provincia

Cinquantenne si schiantò contro un muretto. Omicidio colposo per due dipendenti della Provincia. Le difese: dinamica da stabilire e fessura non evidente.

Quel giorno, il 9 marzo 2013, alle 12,30, Pierangelo Gusmini, geometra cinquantenne di Cologno al Serio, stava percorrendo la discesa che da Aviatico conduce a Selvino in sella alla sua bici da corsa. Davanti a lui un amico che, dopo aver affrontato una curva, all’improvviso sentì un tonfo. Tornò indietro e trovò il compagno a terra privo di sensi. Gusmini morirà pochi istanti dopo. Il cinquantenne aveva perso il controllo della bici ed era finito contro un muretto in pietra a fianco della funivia di Selvino. Letali le ferite al capo: l’umo non indossava il casco, che per i ciclisti non è comunque obbligatorio.

Che cosa sia esattamente successo nessuno sa dirlo con esattezza. Ma dopo più di sei anni due cantonieri della Provincia che avevano il compito di controllare la strada provinciale 36 sono stati rinviati a giudizio dal gup Federica Gaudino con l’accusa di omicidio colposo. Secondo la Procura generale di Brescia, che aveva avocato a sé un fascicolo contro ignoti prima archiviato, poi riaperto e infine di nuovo sull’orlo dell’archiviazione, a causare lo sbandamento della bicicletta di Gusmini fu lo stato del manto stradale. In particolare, scrive il sostituto procuratore generale, «la presenza di dislivelli longitudinali a spigolo vivo di 4 cm di altezza per una lunghezza di 9 metri e depressioni di larghezza variabile dai 5 ai 15 cm, costituenti vera e propria insidia nascosta per i conducenti di velocipedi e ciclomotori».

I due cantonieri Valter Cortinovis (responsabile della sorveglianza della Sp 36 fino al 28.2.13) e Paolo Ghilardi che gli subentrò dal 1°marzo 2013, sono accusati di aver «omesso di esercitare con la dovuta attenzione e diligenza i loro doveri di sorveglianza e manutenzione del tratto compreso fra le località di Aviatico e Selvino», non rilevando i dislivelli longitudinali «e/o, comunque, non provvedendo all’apposizione di cartelli di segnalazione di pericolo e ad effettuare o richiedere le necessarie riparazioni all’Impresa Legrenzi srl, appaltatrice dei lavori di pronto intervento di manutenzione della Sp 36».

Per il Pg, «affrontando una discesa con pendenza del 10% circa», Gusmini «perdeva il controllo del veicolo a causa dell’ingresso delle ruote nel solco di uno dei dislivelli longitudinali e cadeva battendo con violenza contro il muretto di pietra che delimitava la via». Il ciclista viaggiava a una velocità di circa 40 km/h, sostiene l’avvocato Francesco Menini, che assiste la vedova Pierangela Maffeis, costituitasi parte civile anche per conto della figlia dodicenne. Era stato proprio il legale a far riaprire l’inchiesta dopo una prima archiviazione, sporgendo denuncia contro ignoti. Il pm aveva chiesto nuovamente l’archiviazione, cui l’avvocato e la famiglia si erano opposti. E nel frattempo - siamo nel 2017 - la Procura generale aveva avocato a sé il fascicolo.

I difensori dei due imputati, gli avvocati Mauro Angarano ed Emilio Gueli, all’udienza preliminare hanno invocato il non luogo a procedere. Secondo le difese la dinamica e le cause dell’incidente non sono chiare, non essendoci testimoni diretti, e dunque non è detto che a causare lo sbandamento sia stato proprio il solco di uno dei dislivelli. Inoltre, è un’altra argomentazione difensiva, le fessure non erano così evidenti (i due imputati dovevano controllare parecchie decine di chilometri di strada), né erano tali da destare allarme, tanto che nessuna segnalazione era giunta dagli utenti della strada. Provincia e Assicurazioni Generali sono stati citati a processo come responsabili civili, in caso dovessero essere disposti risarcimenti. La Provincia, con decreto del presidente Gianfranco Gafforelli del 24 settembre scorso, ha deciso di costituirsi in giudizio «per chiedere che venga dichiarata l’infondatezza in fatto e in diritto delle pretese risarcitorie avanzate dalle parti civili, in quanto insussistente risulta essere la prova della responsabilità in capo agli imputati».

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