Designer a Bogotà
ha creato la Donacleta

Corre via veloce Luca, sfreccia per le strade di Bogotà con la sua bicicletta. La sua innamorata, in questa metropoli dove si è trasformato da designer a imprenditore, ma anche a costruttore di due ruote bellissime e affascinanti.

«Donacleta» è tutto questo: è design e passione, è fantasia e colore, è una «signora bicicletta» ripete lui. Un progetto di design prima ancora di un mezzo di trasporto. Luca Ravelli ha 34 anni, è di Bolgare, ma da otto anni vive in Colombia. Prima di tutto per amore: di una ragazza prima, di «Donacleta» ora. «Ho frequentato l’Istituto europeo di design a Milano ed è qui che ho conosciuto Natalia: colombiana e bellissima» inizia a raccontare.

Luca e Natalia ora non stanno più insieme, ma lui a Bogotà, nell’aprile 2007, ci è andato per lei: «Ero innamoratissimo, io lavoravo a Milano in un’agenzia di comunicazione e vivevo questa relazione con entusiasmo: ci credevo moltissimo. Quando lei è tornata a casa dalla sua famiglia, non ho potuto fare altro: un mese dopo che aveva lasciato Milano, l’ho seguita».

Pazzo di Natalia, tanto da lasciare tutto: «Un lavoro, la mia casa a Bolgare, gli affetti, Bergamo che ho sempre amato». Luca parte e va a Bogotà per Natalia: «Inizio a vivere grazie alle mie competenze da designer, e questa è la mia salvezza dopo che Natalia mi lascia». Un bel colpo, ma anche la voglia di rialzarsi e guardare avanti. «Vivevo in una casa dove c’erano altri giovani e con loro ho fatto gruppo. Un giorno ho pensato che avrei dovuto svagarmi un po’ e mi sono iscritto in palestra: per il tragitto casa-allenamento, in questa trafficatissima città, non potevo che comprarmi una due ruote».

Bogotà è infatti una tra le città con più chilometri di ciclovia al mondo: «Tutte le domeniche, dalle 6 del mattino alle 2 del pomeriggio, gran parte delle arterie principali vengono chiuse al traffico automobilistico e così si aggiungono altri chilometri a quelli già dedicati ai ciclisti. Diciamo che in città o si gira in taxi o ci si rifugia nella bici per gli spostamenti giornalieri» sorride Luca, e si ricorda bambino: «Mio zio è un ciclista amatoriale e per la Prima Comunione la mia famiglia mi aveva regalato una mountain bike – racconta –. Non sono mai stato un appassionato… preferivo il calcio, ma qui, dato il traffico della città, ho acquistato un modello indiano per 80 euro: una bici che ho personalizzato».

Tanto che Luca inizia a essere subissato di richieste: «Mi domandavano tutti dove l’avevo acquistata e di che marca fosse: c’è stato anche un giorno che l’ho parcheggiata fuori da un negozio sportivo e hanno chiesto di comprarmela…». Ride Luca e si ingegna: «Ho fatto ricerca e ho scoperto che la maggior parte delle bici presenti in Colombia sono made in Cina o India. Da qui l’idea di realizzare una “signora bicicletta”, “Donacleta”: modelli per la città, uno per la pista». E il tutto con produzione italiana: «Sono o non sono italiano? Sono partito dal logo del brand, dal concept, ho cercato fornitori che potessero permettermi di assemblare in autonomia il mezzo: i telai arrivano da Monza, da un artigiano 75enne che ha tutta la storia nelle sue mani». E Luca studia: «Da un’artista delle due ruote, Mattia Paganotti della Legor Cicli: con lui ho condiviso pensieri e idee imprenditoriali, con tanto di corso privato di una settimana, immersi in un vigneto vicino al Lago d’Iseo».

Perché «Donacleta» vuole essere un progetto – ancora in erba – imprenditoriale di design: a fine gennaio dello scorso anno Luca ha così creato la sua rete di fornitori italiani, 26, «tutti del Nord Italia, tra la Lombardia e il Veneto», ad eccezione di due realtà, una americana e una tedesca: «Importo i pezzi, monto, smonto e rimonto: sono diventato un vero e proprio meccanico di biciclette». Ma non solo: Luca ha organizzato il suo showroom all’interno della sua abitazione, oltre a tutto il packaging legato alla bicicletta. Perché «Donacleta» è il suo sogno, ma anche il suo ponte verso Bergamo: «Voglio tornare a casa, ma con il brand già posizionato sul mercato latinoamericano».

La collezione «Elegancia en movimiento» (Eleganza in movimento, ndr) racchiude sette diversi modelli (tre coppie, versione uomo-donna e una fixed): «Mi hanno ispirato le bici inglesi degli anni ‘50. I due modelli più classici, “Parola e Parolo”, sono caratterizzati dal freno a bacchetta con pistone e luci alimentate a dinamo: si rifanno agli anni ’40, pur non rinunciando alla modernità, utilizzando un mozzo posteriore con due cambi interni totalmente automatici». Seguono “Fuitina e Fuitina Dom” che rievocano, in chiave moderna, i modelli più in voga negli anni ’70 come “Rondine e Condorino”, prodotti in quell’epoca da diversi marchi italiani» spiega Luca, che conclude:

«I modelli “Bolgarina e Bolgarino”, in onore del mio paese d’origine, sono una reinterpretazione minimal delle biciclette conosciute come il tipo Holanda: modelli quasi senza tempo, pur tenendo il loro tocco vintage». Poi ce n’è ancora una, che strizza invece l’occhio al Paese adottivo: «Si chiama “Cochise” e omaggia uno dei più grandi ciclisti colombiani: è una bici urbana pur essendo perfetta per la un pista, un mix a tutti gli effetti». Luca ha proprio pensato a tutto e la presentazione ufficiale del brand c’è stata nelle scorse settimane: «Ora devo concentrarmi sulla rete vendita, con anche un socio colombiano che ha rilevato il 20% dell’azienda finanziando il mio progetto». Solo finanziatore, però, perché a fare il resto è Luca: «Tutte le biciclette sono numerate e accompagnate da un curatissimo e ricercato kit di garanzia fatto a mano, con tanto di timbro a cera».

E a vederlo, con quei lunghi capelli rasta, gli occhialini, e il sorriso malinconico, lo capisci che Bergamo però gli manca: «La famiglia mi manca, gli amici, ed è anche per questo che voglio fare una bici italiana, dal cuore bergamasco: chi lo sa che prima o poi non la produca l’azienda del mio babbo. Sarebbe un sogno e ormai sono due anni che non torno a casa, non assaggio il cibo di mia madre, non riabbraccio mio nipote Riccardo». Con un appello: «Perché no, un finanziatore italiano, magari bergamasco, che creda in “Donacleta” per aprire una base in Italia».

I colombiani? «C’è molto spirito imprenditoriale, mi ricorda quello veneto degli anni ‘90, ma noi bergamaschi siamo più concreti». E aggiunge: «Quante notti insonni che mi sono fatto: ho abbassato la testa e ho fatto il muratore, il falegname, il pittore. Continuo a fare l’assemblatore, il grafico, il venditore, e chi più ne ha più ne metta: ho deciso di prendermi gli oneri di questo progetto per rincorrere il mio sogno e penso anche a un negozio a Bergamo». Poi un sorriso gli scappa: «Ho una confessione: come da bambino, anche ora in bici faccio una gran fatica se i chilometri sono tanti. Ogni tanto mollo le due ruote per una vecchia Fiat Seicento bianca che ho restaurato». Da Skype una pausa e un’ultima frase: «Però non ditelo a nessuno».

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