Liceo negli Usa:
accolto come un figlio

Quella di Michele Bassanelli è un’esperienza da «exchange student», un’avventura diversa e più ampia di quella, per esempio, dell’Erasmus universitario. Innanzi tutto perché lui, che proviene dal quartiere cittadino di Loreto (dove abita insieme ai genitori Giordano e Roberta, e ai due fratelli più piccoli Matteo e Camilla), è più giovane: di anni ne ha 17, e dopo aver frequentato i primi tre anni di Liceo scientifico al Mascheroni, sta frequentando negli Stati Uniti il quarto anno alla «Harrison High School» di Harrison, un paese di 8 mila abitanti a 20 minuti di distanza da Cincinnati, nel sud-ovest dell’Ohio.

E poi perché lo scambio prevede anche l’ospitalità da parte di una famiglia del posto, che diventa un po’ la propria (Michele come gli altri exchange students chiamano «mamma» e «papà» i genitori ospitanti) per un certo periodo di tempo: in questo caso, circa un anno.

Scelta maturata in seconda

«Quando frequentavo il secondo anno del Mascheroni – racconta Michele – sono venuto a conoscenza della possibilità di fare un anno all’estero con l’associazione Ef (Education First), cosa che mi ha incuriosito parecchio: mi sono confrontato con i miei genitori, che mi hanno supportato in questo progetto, e ho mandato la mia candidatura. Ho dovuto seguire un lungo iter, inviando un video che parlasse di me, e rispondendo a tante domande sulla mia vita, i miei interessi e le mie abitudini, e poi sono stato preso».

«A differenza di altri progetti simili – spiega Michele –, nel mio caso la famiglia che mi ospita non viene retribuita, ma in cambio può scegliere quale studente accogliere: io sono il secondo italiano che ha accolto, perché il legame e l’amore per il nostro paese sono molto forti». Ad ospitarlo sono i Tracy (Christian di 36 anni, Patricia di 33, i figli Katelan di 8 e Audrey di 6, senza contare Miriam, l’exchange student spagnola coetanea di Michele che è diventata sua «sorella» durante il periodo di scambio).

«Sono partito per gli States il 20 luglio del 2016 – spiega lo studente bergamasco –, ho trascorso tre giorni a New York e poi sono arrivato in Ohio, dove a metà agosto ho cominciato la scuola». È a questo punto che, dopo le prime settimane di assestamento, è cominciata la vera esperienza. «Il primo giorno di scuola – racconta – è stato drammatico. Non conoscevo nessuno, e dovevo abituarmi ad ascoltare l’accento americano che, anche se un po’ con l’inglese me la cavavo, è difficile da comprendere. Tuttavia, sono stato subito aiutato dai miei compagni: nella scuola tutti sanno che vieni da fuori e vengono a cercarti, per cui presto mi sono ambientato e oggi posso dire di trovarmi davvero bene».

«Nella scuola – continua Michele – ci sono più di mille studenti, ognuno frequenta diverse “classi” (materie, corsi) a scelta, per cui si cambia aula e gruppo di compagni da un’ora all’altra: tra quelle che seguo io, alcune non ci sono in Italia, come diritto americano, e storia degli Stati Uniti. Ho avuto la fortuna (non funziona così per tutti i programmi di scambio, anche all’interno della mia associazione) di poter frequentare le classi necessarie da permettermi, terminato quest’anno, di conseguire il diploma della high school. Tornato in Italia frequenterò il quinto anno delle superiori e sosterrò la maturità».

Uno dei motori principali di aggregazione è stato per Michele lo sport: «Qui – spiega – tengono tantissimo alle attività sportive così come alle attività extrascolastiche, ne hanno una concezione molto diversa rispetto a noi. In ogni stagione in cui si divide l’anno ho frequentato sport diversi: corsa campestre in autunno, nuoto in inverno e forse atletica la prossima primavera. Una volta ho gareggiato in una competizione scolastica di tuffi, battendo il record allora esistente: i miei genitori americani erano contentissimi, il giornale del paese mi ha dedicato un articolo con fotografia, i compagni mi fermavano nei corridoi per farmi i complimenti e sono stato nominato “atleta della settimana” della scuola. Per non parlare di quanto sono entusiasmanti le partite di football americano delle squadre della scuola: sono dei veri e propri eventi con coreografie, banda, cheerleaders, e spettatori vestiti con un tema diverso ogni settimana».

«Un altro evento che non dimenticherò mai – spiega Michele – è una cerimonia che si è tenuta in onore dei veterani di guerra, a cui ha partecipato tutta la scuola. Il senso di comunità degli americani e il loro attaccamento alla patria sono tra le cose più belle che ho sperimentato: ti fanno sentire parte di qualcosa di importante e questo è stato molto formativo per me che vengo da fuori, da un’altra cultura meno patriottica».

Con la famiglia che lo sta ospitando Michele si trova davvero bene: «Sono gentilissimi – spiega – e organizzano un sacco di cose con me: abbiamo visitato diversi luoghi, e una delle gite che mi è piaciuta di più è stata quella a Chicago, dove abbiamo fatto una grande spesa in una famosa catena di negozi di cibo italiano: i Tracy stravedono per il nostro cibo soprattutto quando, una volta a settimana, glielo cucino io».

Il 24 Maggio ad Harrison ci sarà la cerimonia del diploma, e a giugno Michele tornerà a casa a Bergamo. «Certo mi dispiace – afferma –, soprattutto perché so che non rivedrò mai più la maggior parte delle tantissime persone che ho conosciuto, ma non voglio restare qui. Ora voglio vivere l’esperienza fino in fondo, ma dopo voglio tornare. Alcuni miei compagni si fermeranno per l’università, mentre io avevo deciso di stare solo un anno e così farò. Anche perché non ho ancora le idee chiare riguardo al mio futuro: so che il settore di studi che mi piace è quello delle relazioni e diritto internazionale, ma per il momento non ho progetti più precisi».

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