Attentato Usa
verso il voto finale

Una notizia certa, e per fortuna buona, c’è: i 29 feriti nell’esplosione di New York sono stati tutti dimessi. Tutto il resto, però, è oscurità e dubbio. Due, soprattutto, i problemi da risolvere. Uno riguarda gli americani, l’altro il mondo. Il primo: chi è stato? Perché? Toccherà agli investigatori e ai servizi segreti scoprirlo. Una bomba, sia pur rudimentale, che viene fatta esplodere nel cuore di Manhattan, a poca distanza da dove se ne scopre un’altra inesplosa, è ovviamente un atto di terrorismo.

C’è un’enorme differenza, però, tra un attacco per esempio dell’Isis, che ha rivendicato i quasi contemporanei accoltellamenti in Minnesota, e una strage concepita e realizzata da criminali americani per cause interne alla vita politica e sociale degli Usa. Giova ricordare che, attentati dell’11 settembre a parte, il più crudele attentato nella storia degli Stati Uniti è stato quello realizzato nel 1995 a Oklahoma City da Timothy McVeigh, soldato decorato e veterano della Guerra del Golfo, che in odio al Governo fece esplodere un edificio uccidendo 168 persone, tra le quali 19 bambini. Quel tipo di massacro, anche se non in quelle dimensioni, si incontra spesso nella storia recente degli Stati Uniti e gli stessi americani sono, se non abituati, almeno vaccinati. Li archiviano, dal punto di vista del pubblico sentimento, abbastanza in fretta.

Le cose cambiano molto, e cominciano a riguardare il mondo, se invece nell’attentato c’è una mano straniera. Gli Stati Uniti non perdonano questo genere di attacchi. Indagheranno, si chiariranno le idee e poi colpiranno. Se il loro fulmine cadrà, le conseguenze non saranno lievi, né dal punto di vista militare né da quello politico. E anche il «dove» avrà la sua importanza: potremmo scoprire che la superpotenza ha nuovi nemici, o nemici vecchi che usano metodi nuovi.

Ma c’è un’altra considerazione da fare. Che cosa faranno Donald Trump e Hillary Clinton di questo attentato nella loro corsa verso la Casa Bianca? I candidati non potranno esimersi dall’intervenire, dovranno dire qualcosa in proposito sapendo che qualunque cosa diranno potrà essere poi usata contro di loro. Tra una settimana si svolgerà il primo confronto diretto tra i due e l’imminenza della sfida ha consigliato prudenza. Trump, memore delle dichiarazioni troppo bellicose rilasciate dopo la strage di Orlando (50 morti in un club gay nella notte dell’11 giugno), ha promesso misure severe contro la criminalità e il terrorismo ma è riuscito a contenersi. La più esperta Clinton ha invocato l’incertezza degli investigatori per non sbilanciarsi a sua volta. Ma non sarà sempre così. Se dietro l’attentato di Manhattan dovesse spuntare una mente straniera, la xenofobia di Trump potrebbe guadagnare consensi e il passato impegno come segretario di Stato diventare una palla al piede della Clinton, che già deve fare i conti con la questione delle sue mail sulla Libia, transitate sui server della sua Fondazione e misteriosamente scomparse. Il che ci rimanda a un’altra, più fondamentale questione: che cosa ci aspetta dopo novembre? Uno dei due diventerà presidente, questo è certo, e si troverà nella posizione di determinare in parte importante i destini del mondo. Ci sentiamo tranquilli? Abbiamo davvero fiducia in loro? È l’ennesima conferma che, a un certo livello, quanto accade in America riguarda sempre il mondo intero. Faremo bene, quindi, a seguire questa corsa alla Casa Bianca con grande attenzione. Perché la sensazione generale è che questa elezione non sia un’elezione come le altre. La lotta è tra un candidato che non doveva nemmeno esser lì, Donald Trump, e una candidata, Hillary Clinton, che aveva l’elezione in tasca e stenta assai più del previsto. Come se nella pancia del grande Paese si stessero muovendo forze impreviste e dagli effetti imprevedibili. Che restano, proprio come le ragioni e gli autori dell’attentato di New York, ancora tutte da indagare.

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