Due velocità
e l’Europa arranca

Pensare positivo è il nuovo standard dei leader europei nella stagione dell’incertezza e dell’imprevedibilità: dopo Brexit e con Trump alla Casa Bianca, nell’anno del voto in Olanda, Francia e Germania. Il contesto favorevole ai populisti sta diventando un acceleratore della politica nella fase più critica dell’Europa e a 60 anni dai Trattati di Roma che sancirono la nascita della Cee. Come dice l’ex ministro degli Esteri tedesco, Fischer, l’Europa può diventare adulta. Sarà proprio così? Mettiamo in fila un paio di fatti. Prima il governatore della Bce, Draghi, ha riaffermato che l’euro è irreversibile, ricordando che «stare uniti in tempi difficili è la ragion d’essere della moneta unica».

Poi l’incontro fra Draghi e la Merkel ha mostrato l’intesa fra il vertice della Banca centrale europea e il suo principale azionista. Terzo aspetto è la competizione elettorale in Germania fra la cancelliera democristiana e il socialdemocratico Schulz, cioè fra due solidi europeisti e questo cambia la prospettiva perché sposta il pendolo a favore di una maggioranza pro integrazione. In questo senso il colosso tedesco potrebbe porsi come contraltare di quella parte di Francia che voterà Le Pen.

Ultima circostanza, l’Europa a due velocità lanciata dalla Merkel, poi riformulata in questi termini: l’area euro deve essere coesa e continuare a sostenere tutti i progetti varati insieme. Non significa un nucleo forte separato dagli altri, ma il consenso verso diversi livelli d’integrazione sulla base delle volontà nazionali e senza discriminazioni. A ben vedere, le «due velocità» sono già una realtà e lo dimostra la costruzione dell’euro e dei Trattati di Schengen sulla libera circolazione delle persone: c’è chi vi aderisce e chi no. Il fatto però che questo sia stato illustrato in questa fase di tumultuosi cambiamenti equivale a fissare precisi paletti e ad aprire una finestra di opportunità per ridefinire il progetto europeo. La correzione di rotta è stata salutata positivamente e – per utilizzare l’analisi di Napolitano pubblicata ieri dalla «Stampa» – siamo in presenza di segni insperati della consapevolezza di una situazione insostenibile: la sostanziale impotenza a decidere o a vedere rispettate le decisioni dell’Ue.

Gli indizi paiono incoraggianti, tuttavia la crisi dell’assetto comunitario è tale da suggerire cautela. La frattura è storica perché l’Europa non crede più in se stessa e le opinioni pubbliche sono demoralizzate, rinchiuse nella radicalizzazione delle incertezze sul futuro. Crisi morale e crisi geopolitica stanno producendo un cortocircuito. Cambiano le coordinate internazionali, dal Medio Oriente alla Russia, mentre il segnale della nuova America è che atlantismo ed europeismo non si rafforzerebbero più a vicenda. La Brexit ha segnato un prima e un dopo, il motore franco-tedesco non funziona a dovere, non si riesce a trovare un minimo comun denominatore sulle politiche migratorie, si affaccia il protezionismo e s’è incrinato il rapporto fra Commissione europea e governi nazionali. Il limite di svolte pur apprezzabili è che restano confinate nel circuito degli addetti ai lavori, senza raggiungere i cittadini. Tant’è che qualche osservatore si chiede se sia ancora il tempo delle risposte istituzionali e dei voli pindarici o se non sia il caso di riconoscere che una certa vecchia Europa abbia fatto il suo tempo.

Sarà difficile per l’europeismo superare indenne le prossime elezioni senza nuovi programmi di politica economica e senza una visione d’insieme. In fondo i populisti, pur sbagliando terapia, hanno colto la distanza fra il livello dove si prendono le decisioni (Bruxelles) e quello dove si svolge il dibattito democratico (nei singoli Paesi) e ritengono di avere la ricetta giusta per le politiche redistributive. Servono risposte urgenti a problemi concreti: sicurezza, benessere, il recupero del senso di giustizia sociale che in questi anni ha avuto scarsa cittadinanza. In una parola: il ritorno alla dura realtà dei cittadini.

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