Ferrovie, non basta
la buona Sorte

Per evitare colpi di caldo partiamo dai dati certi. «Non tutta la flotta è moderna: il 45% è ancora senza condizionamento. Poi abbiamo un’altra quota dove l’impianto è stato applicato dopo, in modo posticcio. Il restante 40% ha la climatizzazione: sono i treni nuovi».

Parole e musica di Giuseppe Biesuz, predecessore di Cinzia Farisè nel ruolo di amministratore delegato di Trenord e uomo di ferrovia. Sono del luglio 2013, due anni fa esatti: considerato che da allora sono entrati in circolazione una quarantina di treni, solo metà dei pendolari lombardi sta al fresco d’estate.

Per questo motivo, la spiegazione sulle soppressioni di diversi treni fornita dall’assessore regionale alle Infrastrutture, Alessandro Sorte, è da sudori freddi. Difficile pensare che Trenord non conosca lo stato del suo materiale rotabile e che di fronte a giornate calde (comunque non siamo all’Equatore, ma nella pianura padana) preferisca non sottoporre i suoi clienti alla tortura di un viaggio a 40 gradi: più probabile che continui a prendere per il naso il Pirellone e che il materiale sia in pessimo stato di manutenzione e funzionamento. Perché cancellare in serie i treni più strategici per l’andata e il ritorno da Milano di migliaia di pendolari bergamaschi è nella migliore delle ipotesi suicida.

Partiamo dai dati certi per ribadire che il sistema ferroviario di una regione che ha i numeri di un’Olanda o un Belgio è una gran brutta bestia, soprattutto se per decenni le ferrovie non hanno investito una cicca. Sotto questo punto di vista, lo sforzo di questi anni di Trenord e Regione è sicuramente meritorio, se non fosse che treni vecchi e nuovi si assomigliano in una cosa: sono entrambi in ritardo. Di tanto in tanto assistiamo a mirabolanti annunci di nuovo materiale rotabile che, alla prova dei fatti, sta arrivando con il contagocce.

Al netto delle oggettive difficoltà e dei tempi elefantiaci del settore (difficile avere un treno senza almeno 2 anni di attesa), a tratti sembra di assistere all’epopea tragicomica dei carrarmati di mussoliniana memoria, quelli che apparivano e scomparivano secondo le contingenze. Certo, anche Expo ci ha messo del suo, ed è innegabile che le performance di Trenord siano colate a picco dal 1° maggio in poi. Ma anche qui bisogna essere chiari: serve uno sforzo eccezionale viste le circostanze imposte dall’evento? Lo si dice chiaramente e non si gioca a rubamazzetto.

Così come vanno riviste le condizioni di mercato che mettono le Ferrovie dello Stato in una situazione di monopolio nemmeno tanto occulto. Ma è inutile anche sperare nello stellone delle gare europee per migliorare il servizio, perché a queste condizioni i player importanti stanno alla finestra. Un esempio? Arriva Db, un giocattolino da 40 miliardi di euro di fatturato controllato dai tedeschi di Deutsche Bahn: in Emilia Romagna sta vedendo il da farsi, ma le condizioni poste dal bando sono considerate «fuori mercato». Non solo dal punto di vista economico, ma per i vincoli che, di riffa o di raffa, continuano a proteggere le Ferrovie dello Stato.

E allora, o cambiano le regole, o si rischia di aspettare l’unico soggetto più in ritardo di Trenord, tal Godot. Ma soprattutto bisogna cambiare prospettiva, mettendo davvero il treno (e autobus: attenzione, la questione è nodale) al centro delle politiche di trasporto di una regione che si sposta come poche in Europa: che ha mercato e che chiede qualità. Lo dobbiamo ad un territorio complesso, ad un Paese che nei suoi mille campanili ha comunque la sua forza, e che non può sentirsi tagliato fuori appena abbandona l’alta velocità. E nemmeno affidarsi solo alla buona sorte.

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