Gestione profughi:
gli errori dell’Italia

La creazione dei centri di identificazione rapida nei Paesi di maggior afflusso come Italia, Grecia e Ungheria è la conferma del disagio che regna in Europa. Ci sono Paesi che sono gelosi delle loro prerogative e non amano intromissioni delle istituzioni europee nella sovranità statuale.

Uno di questi è la Gran Bretagna che di Bruxelles non vuole sentir parlare e nella questione profughi va per la sua strada. Ma vi sono altri Paesi che invece aspirano ad essere guidati perché consapevoli di non essere in grado di darsi delle regole e di rispettarle. L’Italia da anni auspica un intervento dell’Unione Europea nella gestione degli sbarchi dei migranti perché si rende conto di non poter affrontare da sola

un fenomeno che va ben oltre la dimensione nazionale. Bruxelles ha la colpa di aver trascurato il grido di aiuto che proveniva dal Mediterraneo ma l’Italia ha fatto troppo poco perchè al di là delle Alpi capissero la portata europea del fenomeno. E quando si dice europea si intende la serietà con la quale si affronta un’emergenza. Come in ogni consesso internazionale il Paese viene valutato in base a ciò che fa e non ai lamenti che produce.

La dimensione emotiva e solidaristica da sola non basta per affrontare il flusso di migliaia di persone in fuga dai loro paesi d’origine. Accogliere i rifugiati vuol dire gestirli in modo ordinato cioè procedere con modalità non burocratiche alla loro identificazione. In Italia non è stato fatto con le determinazione necessaria e il risultato è che molti di questi rifugiati, stanchi delle lunghe attese senza esito, hanno lasciato i loro centri di raccolta e si sono distribuiti sul territorio nazionale nella speranza o di trovare una collocazione adeguata oppure di passare verso altri paesi com maggiori opportunità di lavoro. Tutto questo ha generato sfiducia e anziché disporre gli altri membri dell’Unione ad un atteggiamento di apertura li ha indotti a temere un afflusso incontrollato al di fuori degli accordi di Dublino.

Quindi l’Italia da vittima si è trovata di fatto sul banco degli imputati. Non l’invasione ormai inarrestabile era la causa dei flussi migranti ma l’incapacità dell’Italia di gestirli e di non far rispettare la regola che prevede il primo approdo come vincolante ai fini dell’asilo. Molti dei rifugiati rifiutano di dare le loro generalità appunto perchè temono di dover restare in Italia.

Le autorità italiane non hanno forzato la mano e di fatto indotto i soggetti interessati a dirigersi verso altre destinazioni. Un modo come un altro per liberarsi di un problema. Tutto questo ha creato diffidenza e ostilità e quindi avversione ad una soluzione concertata dell’emergenza. La crisi di questi giorni ne è l’espressione. L’istituzione degli hot spot, a controllo europeo e non nazionale coincide con la richiesta di centri di accoglienza chiusi e non aperti, come finora è successo in Italia.

La vera questione è distinguere fra coloro che hanno diritto di asilo e coloro che invece non possono essere accolti. Rispedire indietro tutti coloro che non hanno titolo per restare in Europa è impresa improba. Primo perchè molti Paesi d’origine non collaborano e poi perchè un rientro forzoso è una spesa fissa e dà un’immagine negativa a chi lo compie. Il ministro Alfano si è quindi presentato alla riunione di ieri dei ministri degli interni Ue con la proposta di procedere ai rimpatri con i fondi europei e per mano di Frontex , cioè dell’agenzia europea.

Sarebbe un bel sollievo anche perchè la faccia del cattivo la fanno gli altri. È fuor di dubbio, come dice il ministro degli Esteri Gentiloni, che serva un diritto d’asilo dell’Ue, ma poi bisogna essere affidabili nel dir di no a chi non ne ha diritto.

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