Il crollo dei miti
La legalità illegale

L’affaire del software che truccava i livelli di emissione di gas tossici sulle auto della Volkswagen vendute negli Usa ha incrinato il mito della qualità, precisione, sicurezza dei prodotti della casa automobilistica e, più in generale, quello della superiorità del sistema industriale tedesco, tradizionalmente fondato sull’estrema affidabilità delle sue aziende.

Nell’immaginario collettivo l’idea che un’industria tedesca potesse truffare i suoi clienti era impensabile. I riflessi si sono visti rapidamente: crollo del titolo VW in borsa, dimissioni dell’amministratore delegato della società, falcidie nei colletti bianchi di rango medio-alto.

La vicenda che ha investito il colosso tedesco è stata vista, in prevalenza, come il crollo di quelle due consolidate certezze. In realtà, essa è piuttosto la conferma della pericolosa deriva assunta dalla crisi del capitalismo contemporaneo. E dai rischi paurosi che introducono nel tessuto sociale gli usi distorti di tecnologie sempre più sofisticate. Sia sul lato della produzione dei beni, sia su quello della qualità della vita. Il solo pensare di montare su un’auto un meccanismo in grado di truccare i livelli di emissione di sostanze nocive alla salute fa tremare i polsi.

Non è soltanto una truffa nei confronti degli acquirenti, non è soltanto un sistema scellerato di violare le norme e di imbrogliare chi quelle norme cerca di far rispettare, ma è soprattutto un calcio in faccia ai cittadini. Un orribile mezzuccio che ha creato danno non solamente a undici milioni di acquirenti della Volkswagen ma a tutti i cittadini che si trovano a respirare aria inquinata per colpa di un trucco da magliari della meccanica. Eppure ciò è stato coscientemente e scientificamente fatto da una delle maggiori, più antiche, solide e affermate case automobilistiche mondiali.

La morale da trarre è assai amara. Il decantato mito dell’impresa che crea lavoro, sviluppo, benessere si scontra sempre più frequentemente con la granitica logica del profitto che tutto stritola al suo passaggio. Come un caterpillar. Dalla logica del profitto ad ogni costo, in barba alle leggi e al buonsenso, alla legalità e all’onestà. Viviamo noi italiani in un Paese nel quale – per mano delle organizzazioni mafiose - si sotterrano milioni di tonnellate di rifiuti tossici. La vicenda VW mostra come anche la faccia buona delle società avanzate non sia così pulita come ama presentarsi.

La vera piaga è rappresentata da una caduta verticale dei valori primari della convivenza civile. Una sorte di barbarie che non risparmia più nessuno. «Siamo tutti coinvolti», è una delle frasi chiave di uno dei più celebri film con James Dean. Lo siamo nel senso che la sfrenata corsa a volere e comprare auto sempre più grandi e potenti spinge i produttori a un gioco al rialzo che finisce per dare spazio a scelte e comportamenti illeciti. Una spirale dalla quale si dovrebbe cominciare a uscire proprio abbandonando questa forsennata corsa al superfluo e all’inutile. A franare è la credibilità di un modello capitalistico che dovrebbe allargare orizzonti e possibilità per tutti. Ed invece si risolve in un vantaggio per cerchie sempre più ristrette di persone. Se ne ha desolante conferma nella notizia che il dimissionario amministratore delegato di VW riceverà una liquidazione di 36 milioni di euro e una pensione annua di 18 milioni.

Tutto legale, si obietterà. E di certo lo sarà. Ma non si può sfuggire alla sensazione che tali accadimenti rappresentino forme di legalità illegale o, meglio, di illegalità legalizzata. Che ciò accada in un Paese, come la Germania, culla di grandi filosofi e insigni giuristi, rattrista molto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA