Il Papa dei poveri
conquista l’America

Doveva essere il viaggio di uno che arrivava da «nemico»: il Papa dei poveri nella nazione più ricca del mondo. Invece la capacità di Francesco di ribaltare previsioni e di andare oltre gli schemi ha trovato un’altra conferma. Forse la più clamorosa del suo Papato.

Due i fattori che hanno determinato il successo straordinario di questo viaggio, un viaggio che ha conquistato ogni giorno le aperture di tutti i media americani (il sito del New York Times domenica aveva in home page otto titoli dedicati a diversi risvolti delle giornate a Filadelfia). La prima: la gente, a tutte le latitudini, sente il «bisogno» di incontrare una persona come Papa Francesco. È una sorta di feeling spontaneo, libero; un richiamo dettato non tanto da meccanismi mediatici ma da una simpatia che l’uomo Bergoglio suscita in tutti. Anche negli Stati Uniti, anche in città che possono sembrare antropologicamente lontane dalla Chiesa e dal suo messaggio, questo fattore è scattato. Le immagini di una Filadelfia che per due giorni ha sostanzialmente sospeso ogni attività normale, per «dedicarsi» al Papa facevano certamente impressione.

Il secondo fattore è naturalmente la capacità di Francesco di presentarsi sempre come una persona venuta non a giudicare, ma per valorizzare ciò che incontra. Lo stile di Bergoglio è quello di far scoprire ai suoi interlocutori sempre il meglio della loro storia e della loro identità. Non dice a chi ha davanti che deve cambiare rispetto a quello che è, ma che deve essere pienamente e apertamente se stesso. Così è successo anche nel viaggio americano, in particolare in occasione dei due discorsi al Congresso e sabato dalla tribuna, sull’Indipendence Mall di Filadelfia, dove Abramo Lincoln aveva pronunciato il discorso dell’indipendenza americana. Sono emblematiche le parole dette dal Papa in quest’occasione: «Non perdere la memoria di ciò che è accaduto qui più di due secoli fa. Non perdere la memoria di quella Dichiarazione che ha proclamato che tutti gli uomini e le donne sono stati creati uguali, che sono dotati dal Creatore di diritti inalienabili, e che i governi esistono per tutelare e difendere questi diritti».

Sempre in quel discorso ha fatto anche l’elogio dei Quaccheri, che sono alle origini della storia di Filadelfia,per la lezione di civiltà che avevano saputo dare. Al Congresso ha esordito facendo l’elogio di questa «terra dei liberi e casa dei valorosi», esaltando quindi lo spirito pionieristico che ha fatto grande l’America. Non ha rivendicato primati per la Chiesa, si è allineato solidale a tutte le fedi religiose che hanno fatto la storia degli Stati Uniti.

Proprio grazie a questo atteggiamento di stima profonda e non formale non solo ha conquistato i suoi interlocutori (vedi le 40 interruzioni per applausi al Congresso), ma ha potuto con maggior libertà ricordare alla più grande potenza del mondo le sue responsabilità rispetto a tutto il pianeta. E come nel suo stile, l’ha ricordato senza giri di parole. Questa responsabilità è stata sintetizzata in un passaggio di grande efficacia e chiarezza, sempre in occasione del discorso al Congresso. Ha spiegato che la grande sfida per un Paese come gli Stati Uniti è quella dell’essere capaci di «governare la ricchezza per combattere la povertà». E per non lasciare l’indicazione nell’indeterminatezza ha richiamato la frase di un personaggio da lui molto ammirato, il pedagogista brasiliano Paulo Freire. «La metà dell’umanità non dorme perché ha fame, ma anche l’altra metà non dorme perché ha paura di coloro che hanno fame». Non si tratta di demonizzare la ricchezza, ma di richiamarla ad una sua responsabilità. È lo stile di questo Papa. Che non emette sentenze, ma indica strade.

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