La Lega a Pontida
Renzi e il panettone

Il raduno della Lega di fine settimana a Pontida, in contemporanea con la convention di Stefano Parisi a Milano, rinvia come sempre alla Padania d’antan, luogo immaginario ma cresciuto nel cuore di un popolo allevato nel mito di un capo (Bossi) e di parole d’ordine che si sono poi imposte: Nord, autonomia. L’appuntamento, ancor prima di essere un fatto politico, è un incontro di sentimenti, gesti, acrobazie sanguigne e di un vissuto fuori dagli schemi dei benpensanti. Il salotto popolar-popolano degli affetti e degli effetti speciali.

Il pratone, insomma, è questa «cosa» qui, un passato che non passa a dispetto persino di una certa modernizzazione che la Lega, nei suoi momenti migliori, ha saputo interpretare unendo il contado al protagonismo dei padroncini. Pontida, l’irriducibile di un tempo che s’è fermato, è fuori stagione rispetto alla ruspa di Salvini. Questa Lega calca il terreno di solide passioni, eppure si sottrae all’influenza del passato, al suo immaginario rituale, e chissà se questa umanità portata inutilmente in giro per un’Italia a lei sconosciuta e a spasso in una Francia xenofoba non si ritenga degna di miglior causa nei confronti di un lepenismo, sia pure vincente altrove.

La kermesse sarà percorsa dai fuochi d’artificio e non dalle riflessioni, ma prima o poi una domanda essenziale, anche in questo corpaccione a tratti imperscrutabile perché non si lascia scoprire, dovrà trovare una risposta: che cosa ha da dire l’esperienza di Salvini, se non la circostanza di ritrovarsi risucchiata da un radicalismo a caccia di capri espiatori? In un mondo che cambia in fretta il leader ha scelto la via più spendibile sul marketing politico: investire sulla sfiducia verso l’Italia e l’Europa, scommettendo sul battutismo e sul circo mediatico.

Buon per lui che il suo ballo alla recente festa leghista di Pontirolo abbia ricevuto migliaia di applausi sui social, ma resta da vedere se la presa di Salvini sul partito regga e se l’estetica dell’intrattenimento, passata la festa, produca un’alternativa credibile di governo e soprattutto se costruisca un progetto responsabile. Fatto il botto iniziale, Salvini ha raggiunto il massimo e ora staziona su un livello instabile dopo aver perso le ultime amministrative in una corsa solitaria e risolvendo in modo drastico i trascorsi del suo partito. Ritiene di vivere di rendita con l’aria che tira in Europa, nello splendido isolamento di una prigione dorata, ma in casa deve giocare di rimessa: nonostante il Grande pasticcio di Roma, i grillini restano lontani dal crollo di consensi. E prima o poi dovrà vedersela con i mal di pancia interni, per quanto trattenuti: già nel dibattito pubblico si distingue fra Lega di Salvini e Lega di Maroni e non è un mistero che i colonnelli storici non «sentano» sulla propria pelle la leadership di Salvini, non si ritengano dentro una storia che non li ha accompagnati dall’infanzia alla maturità, mutandone nel frattempo radicalmente i connotati.

Se il leader della Lega è costretto a stare alla finestra, chi ha fretta è invece Parisi che deve proporsi come il restauratore liberalpopolare di una Forza Italia consegnatagli da Berlusconi, ma nell’ostilità di gran parte della classe dirigente. L’uomo, Parisi, c’è ed è pure partito meglio dei suoi predecessori (Alfano e Toti). Tuttavia, i suoi margini di recupero al centro o a destra sono difficilmente praticabili: o già occupati da Renzi, o perché infrequentabili sul piano di un’identità rispettabile. Il raggio d’azione dell’ex city manager del Comune di Milano è relativo alla sola Forza Italia, ma al centrodestra nel suo complesso manca il valore aggiunto che è il dato strategico: il federatore, il Berlusconi della situazione in tandem con Bossi.

È chiaro che tutto si giocherà sul referendum costituzionale, Parisi però deve stare attento: il suo «no» contrasta con il «sì» dei produttori, cioè con il blocco sociale di Forza Italia. Attenzione, poi: a Renzi in quanto premier, redentosi dopo aver personalizzato il referendum ma ancora in affanno, non ci sono alternative e la sua proposta di aprire a tutti sull’Italicum, se ha le gambe per camminare, può sparigliare mettendo in difficoltà la stessa metà campo di Berlusconi. Archiviare il premio alla lista a favore del premio alla coalizione significa consentire a tutti di essere della partita con la propria identità e quindi fornire, disarmandola, un assist al centrodestra. Questo per dire che i giochi non si faranno a Pontida o a Milano, bensì a Palazzo Chigi: può essere che, contrariamente al malaugurio di Salvini, Renzi riesca a mangiare il panettone a Natale con il sotterraneo plauso di qualche suo avversario perfetto che, strada facendo, s’è lasciato costruire su misura.

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