Province salvate
Ora serve equilibrio

Tra gli effetti collaterali del No del 4 dicembre c’è anche la «resurrezione» delle Province, tornate in Costituzione dopo una morte non solo annunciata come in altri casi (Senato, Cnel), ma indotta, quasi con sottile perfidia, dalla legge legata al nome di Graziano Delrio, che dava per scontato il Sì. Il risultato oggi è che un’istituzione del potere democratico dovrebbe riprendere il suo posto come se nulla fosse, carica di compiti e funzioni, mentre in quasi tre anni è stata fiaccata e stravolta, privata dell’ossigeno dei trasferimenti finanziari soprattutto senza più rapporto diretto con gli elettori.

Ritenuto l’anello più debole dell’organizzazione dello Stato, poco conosciuto nella molteplicità delle sue funzioni, pur essendo molto meno costoso dell’apparato delle Regioni, il sistema è stato colpito fin da subito, e poi, con un vero e proprio accanimento, privato gradualmente di mezzi per sopravvivere. Anche nel 2017, alle Province la legge ha tolto altri due miliardi di trasferimenti o di risorse direttamente attribuite al centro senza neppure passare dalle casse provinciali. Il voto di fiducia della legge di Bilancio ha fatto anche cadere le intese per la restituzione di fondi che dovevano scongiurare il fallimento e «i libri in Tribunale».

In questa nuova prospettiva, non è azzardato sostenere l’incostituzionalità della stessa legge Delrio, perché non si può da un lato prevedere l’esistenza di organi decentrati e dall’altro togliergli deliberatamente i mezzi per esistere. A parte poi il fatto che non si capisce perché questo debba essere l’unico organo totalmente sottratto al voto degli elettori, con l’insediamento di un mini Consiglio provinciale di secondo livello e di un presidente senza Giunta.

Tutti, per di più, senza percepire un solo euro, come se questa fosse la vera «Casta» da fustigare. Per la Provincia di Bergamo, il risparmio equivale a un milione di euro di «costi della politica»: meno di un caffè (all’anno) a carico di ciascun bergamasco. Va detto che i consiglieri e i vertici provinciali, sempre per restare a Bergamo, hanno fatto miracoli, mantenendo ruolo e dignità ad un ente che, altro che inutile, aveva fatto la storia dello sviluppo e della moderna crescita di una provincia molto grande, con oltre un milione di abitanti, 242 Comuni e un ruolo del capoluogo limitato al 12% circa dell’intera popolazione.

Le Province avrebbero dovuto essere diminuite di numero, questo sì, e certamente Bergamo avrebbe dovuto rimanere, come prevedevano proposte più lungimiranti della Delrio, che invece ha elevato a «città metropolitane», per evidenti ragioni politiche, aree come quella di Reggio Calabria. Si è qui realizzata prima una Provincia costituente, coraggiosamente capace di superare gli steccati di partito, con meriti sia a destra che a sinistra, e poi si è applicata al massimo grado la regola molto bergamasca del risparmio.

Basti dire che via Tasso, con (pochi) politici a costo zero, costa comunque circa 140 milioni di spese correnti e che le entrate davvero sicure sono poco più della metà. Per mettere insieme un Bilancio di circa 280 milioni, occorre fare la questua a Roma o a Milano, dove però la Regione di un colore e di tutte le province, tranne una, di colore opposto, non ha facilitato il trasferimento di risorse, ma solo delle competenze. Oppure, come accade da due anni, occorre vendere l’argenteria di famiglia: prima la caserma dei pompieri, poi un pezzo di aeroporto, poi forse un pezzo di autostrada per Venezia. Un comportamento, quello di Matteo Rossi, primo presidente di questa nuova era di ristrettezze, tipico del buon padre di famiglia: ma come si può andare avanti in futuro? A livello nazionale, ci sono 130 mila chilometri di strade da mantenere, 5.100 scuole superiori da rattoppare, e in molte zone - se non ci sono gioielli da vendere - scarseggerà il gasolio per il riscaldamento delle aule e non si potrà circolare alla prima nevicata. E i servizi ai disabili, i trasporti, l’ambiente, le crisi sociali, tutto senza un euro?

Per questo, l’eroe della prima fase, torniamo a Bergamo, è stato l’assessore al Bilancio Franco Cornolti, alle prese con costi non sostenibili, tagli e risparmi. Ora, nella seconda fase, si è puntato su cose che non costano ma richiedono visione, come la programmazione, gli indirizzi ai Comuni (ma come si pagherà il nuovo Pgt?), e qui è emerso il ruolo politico di chi si occupa di infrastrutture, per cui l’uomo-chiave è diventato Pasquale Gandolfi. Ma resta il problema di restituire equilibrio a questo che è il più antico organo decentrato, fin dai tempi del Regno, molto sentito dai cittadini (si dice: sono bergamasco, non sono lombardo). A meno che i meriti diventino l’anticamera di una non nuova punizione: se si è riusciti senza soldi a gestire la seconda Provincia industrializzata d’Europa, qualcuno penserà di far finta che il 4 dicembre non sia successo nulla. Ma sarebbe un errore, almeno per Bergamo.

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