Salvini non segna,
nonostante il regista

L’esito delle elezioni in Emilia continua a produrre risultati politici contribuendo a modificare i pur precari equilibri che finora hanno retto legislatura e attuale governo. L’equilibrio fondamentale, come tutti sanno, si basa sul cosiddetto Patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi, patto che – avendo numerosi nemici – sta subendo un attacco proprio per effetto di quelle elezioni. In nome di che, in vista di cosa si prova a far saltare l’intesa nessuno naturalmente lo sa, e probabilmente nemmeno i nemici di Silvio e Matteo lo sanno: l’unica cosa che conta è spezzare un assetto di potere che minaccia di durare per un bel po’.

Il punto primo da cui partire è che Forza Italia ha subito in Emilia l’ennesima, grave emorragia di voti al punto da essere superata dalla dinamica Lega di Salvini, motivo per cui gli avversari del Patto dentro il partito azzurro, alla Fitto per intenderci, hanno acuminato le loro critiche a Berlusconi (ormai attaccato apertamente e personalmente, senza nemmeno il rispetto che si deve al Capo, basti guardare le parole di un vecchio forzista come il tesoriere Bianconi) accusato di aver subordinato il partito ai voleri di Renzi al solo fine di tutelare i suoi interessi personali e aziendali anche in vista dell’elezione del successore di Napolitano al Colle. E tutto questo mentre Salvini coltiva talmente l’idea di diventare un giorno il leader di un nuovo centrodestra da snobbare le parole gentili che il Cavaliere ha rivolto («goleador») riservando a se stesso un ipotetico ruolo di «regista» del giovane leghista. È chiaro che chi, come Fitto, punta alla leadership di una Forza Italia di opposizione e comunque votata a guidare l’elettorato moderato, vede come fumo negli occhi l’ascesa di Salvini. Anzi peggio: la vede come il miglior regalo fatto a Renzi che, eleggendo Salvini a proprio avversario principale, schiaccerebbe il centrodestra su posizioni radicali, lepeniste, antieuropee e dunque comode per lui che vuole impadronirsi dell’elettorato moderato ex berlusconiano. In tutto ciò Berlusconi, pur contestato, dice: il patto del Nazareno va avanti, anzi con Renzi decideremo che sarà il nuovo presidente della Repubblica.

Renzi è invece in una situazione che presenta due facce. La prima è esterna: di fronte a sé non ha nemici veramente temibili e può puntare alla conquista di praterie elettorali, stante la debolezza di Forza Italia. La seconda è interna: le insidie che possono riservargli i suoi oppositori della sinistra del Pd non sono da prendere sottogamba. Il forte astensionismo nella regione già più rossa d’Italia dimostra che a sinistra del Pd renziano si agita un mondo – che va da Fassina e Civati a Vendola e Fratoianni di Sel, dalla Camusso a Salvini, dal «Fatto» ai centri sociali, dai verdi ai comunisti, da Zagrebelsky a Ingroia – che in nome della lotta al Jobs act e alle riforme «che stravolgono la Costituzione» – potrebbe organizzarsi per togliere al premier la fetta di sinistra del suo partito. Insomma la scissione. In prospettiva si potrebbe risolvere in un serio indebolimento del Pd, ma per l’immediato potrebbe addirittura causare la crisi del governo che al Senato, come è noto, ha una maggioranza risicata. I trenta deputati che si sono sfilati nel voto sul Jobs act hanno dei colleghi senatori che presto vedremo in azione, quando si tratterà di votare definitivamente la riforma del lavoro. Ben consapevole di questo, Renzi si mostra determinato, e ieri è andato a dire a Napolitano che entro gennaio si fanno le riforme, che il Patto del Nazareno non scricchiola e che lui non ha intenzione di andare a votare in primavera.

Ultima considerazione: l’implosione del movimento grillino e la caduta verticale del suo consenso elettorale, mostrata dal voto regionale di domenica, con molte probabilità accrescerà sia la dote leghista sia il cosiddetto «partito dell’astensione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA