Una follia cieca
che colpisce ovunque

Torturati, massacrati, sgozzati, uccisi a fil di spada con «lame affilate». Man mano che trapelano particolari della «notte dell’orrore» di Dacca un senso di sgomento si impadronisce di noi. La globalizzazione del terrore ci ha raggiunti in Bangladesh, a settemila chilometri di distanza, ma è come rivivere le stragi degli anni bui del terrorismo italiano.

Lo sgomento ci prende per tanto spreco di vite, per tanto sangue versato inutilmente in nome di una follia assoluta, di una barbarie «contro Dio e contro l’uomo» insensata, come grida Papa Francesco nel commentare la tragedia di Dacca. Non possiamo far finta di nulla, questa guerra non dichiarata è come se fosse in casa nostra. Jacopo, Claudia, Adele, Cristian, Marco, Nadia, Vincenzo, Claudio, Maria, la mamma bergamasca che lascia il marito e la figlioletta di tre anni, Simona, uccisa con un figlio in grembo. Buona parte delle vittime dell’Holey Artisan Bakery sono italiane, gli aguzzini non hanno risparmiato nemmeno le donne. Tante coppie, tante famiglie sono state distrutte. Come quella di Gianni e Claudia, che vivevano nella capitale del Bangladesh da vent’anni e offrivano la loro casa come sede delle missioni umanitarie dei medici che venivano in questo Paese per curare uomini, donne e bambini poveri e malati. La brutalità insensata ha colpito dei nostri concittadini, dei nostri fratelli. Ancora una volta la violenza cieca dell’Isis o dei suoi sottogruppi di questo vero e proprio «franchising del terrore» ci ha colpito al cuore, come nella strage tunisina del Bardo o nel sacrificio della giovane ricercatrice veneziana Valeria Solesin, morta durante l’attentato al Bataclan.

Fa impressione, nelle foto divulgate da uno dei siti dell’estremismo islamico, l’aspetto dei terroristi-aguzzini. Sono tutti giovani, lo sguardo assente e ottuso, inconsapevole ed ebbro, di chi staziona alle porte degli inferi e sa che sta per entrare nel gorgo della morte. La banalità del male in un selfie. Pare che il gruppo estremista abbia autonomamente organizzato l’attentato e successivamente giurato fedeltà al Califfato del terrore di Al Bagdadi. È la logica sanguinaria dei network del terrore: non è necessario prendere contatti diretti, il terrorismo del Isis, lo Stato terrorista islamico diventa una sorta di brand globale che finisce per colpirci nella psiche, nella paura, persino «nei nostri sogni», come proclama una delle cellule che ha rivendicato l’attentato il cosiddetto esercito dei «figli del Califfato». Ci sono analogie nettissime con la strage di Parigi, con il lessico (la lotta ai «crociati»), l’offerta di un salvacondotto attraverso la recita dei versetti del Corano. Non sappiamo se c’è una regia globale, se c’è un collegamento con la recentissima strage dell’aeroporto di Istambul, ma se ci fosse, sappiamo che la «centrale dell’orrore» è pronta a colpire ovunque vi siano disordini sociali. I «figli del califfato» possono essere ovunque. Anche qui in Bangladesh, un Paese poverissimo dove si sono susseguiti i colpi di Stato militare e che fatica a trovare un equilibrio democratico attraverso il premier Shaikh Asina, il capo del Governo che con l’aiuto della Corte costituzionale sta tentando di laicizzare un Paese dove l’Islam è una religione di Stato. In un Paese-polveriera così povero, infiltrato da pulsioni e predicazioni radicali wahabite e salafite, è stato facile gioco fare presa su un pugno di giovani disperati ossessionati e affascinati dalla propaganda del terrorismo islamico.

Fa bene il premier Renzi a definirlo una follia, fa bene a ricordare che «i nostri valori sono più forti dell’odio e del terrore», ma dobbiamo sapere che il nemico che abbiamo di fronte è molto più subdolo del passato, poiché è capace di clonarsi ovunque veicolato dai nuovi strumenti della comunicazione di massa, senza bisogno di contatti diretti. La prima risposta è dunque quella di non aver paura della paura, la seconda è essere capaci di reagire non solo sul piano militare ma anche attraverso gli strumenti di comunicazione, soprattutto restando uniti, senza cedere all’obiettivo dichiarato della rete del terrore, quello di impaurirci e spingerci verso lo stesso loro odio estremistico.

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