Da Bergamo a Rimini
per la cucina regionale

Una città «bicefala» la si potrebbe definire, divisa com’è tra due identità di segno opposto: la Rimini regina delle notti della Riviera, vestale del culto della movida, dispensatrice di fugaci amori estivi, gaudente e transitoria.

Una bella d’estate, insomma, che ai primi freddi settembrini si dilegua fagocitando lettini, ombrelloni e le più ardenti passioni. Eppure così consolidata nel nostro immaginario da oscurare l’altra Rimini, quella più colta ed engagée, titolare di un patrimonio storico-artistico-archeologico tanto invidiabile quanto ignoto (almeno a tanti potenziali utenti), capace di suscitare e radicare emozioni, a lungo termine.

Forse è anche per creare un trait d’union tra queste due Rimini così restie al dialogo che la Sezione archeologica del Museo della Città ha pensato di allestire una mostra programmatica sin dal titolo: «Dalla cucina alla tavola. Frammenti del quotidiano», ingresso gratuito, visitabile fino al primo novembre 2015, con un focus sulla cultura della tavola nella sua dimensione sociale e socializzante dall’età villanoviana a tutta l’epoca romana.

Chiave di lettura: il proverbiale senso di ospitalità dei riminesi, la loro contagiosa joie de vivre su cui è nato e ha prosperato il mito di Rimini e della Romagna ha origini antiche. Il culto del convito affonda le sue radici nella vitalissima Rimini etrusca, celtica e romana, per secoli luogo di contaminazioni etniche e culturali e crocevia di scambi commerciali dal Baltico (da cui la preziosa ambra di fibule e gioielli) alla Grecia.

Ne sono testimoni le ricche e variegate collezioni di suppellettili per mense e banchetti risalenti al periodo tra il X e il I secolo a.C., di cui la mostra (imperativa la visita guidata) offre un quadro stupefacente anche per la modernità di alcune soluzioni come la padella con fondo antiaderente prodotta nelle fabbriche di ceramica cittadine, antesignane di una cucina “global” che tutto accoglie e fonde.

Esemplare del grado di civiltà raggiunto dall’Ariminum romana del II secolo d.C. è la taberna medica della Domus del Chirurgo, un ambulatorio medico ante litteram emerso da scavi recenti e aperto al pubblico dal 2007, di cui ci sono giunti lo splendido mosaico pavimentale raffigurante Orfeo con gli animali e parte delle pareti perimetrali, e che ha assunto fama internazionale (se ne è occupato anche Alberto Angela in Superquark) grazie allo straordinario corredo (il più ricco giuntoci dall’antichità romana) di 150 strumenti chirurgici. All’interno del museo, la fedele ricostruzione dello studio medico arredato e affrescato, gli strumenti chirurgici e un rarissimo quadretto vitreo con “collage” di pesci e delfino che ornava il triclinio (sala da pranzo).

A completare la mostra, magnifici mosaici pavimentali policromi emersi da lussuose domus, (notevole quello che “fotografa” le navi di ritorno al porto in un mare guizzante di specie ittiche), che attestano il grado di civiltà e ricchezza raggiunto dalla antica Ariminum.

Per chi poi l’arte del convito la volesse sperimentare sul campo, godendosi appieno la schietta giovialità della cucina romagnola, basta una visita a uno suoi dei locali-istituzione. Affacciato sulla spiaggia dorata di Rivabella di Rimini, interni rustici in legno in tipico stile romagnolo, lo storico Ristorante La Posada (www.laposada.com) è un inno alla più genuina cucina della Riviera, punto fermo nella topografia gastronomica dei riminesi e tappa obbligata per i turisti italiani e stranieri desiderosi di immergersi nei veraci sapori rivieraschi.

Tanto da meritarsi, per i 35 anni di attività e “per aver contribuito alla salvaguardia della cucina tipica regionale, espressione di cultura del territorio”, la targa di merito dell’Associazione Ristoranti Regionali - Cucina DOC (www.ristorantiregionali.it) consegnata ai gestori, Severina e Arnaud Bucci (a cui mamma Christianne ha passato il testimone), dal presidente dell’Associazione, la bergamasca Marinella Argentieri.

Aperto tutto l’anno, tranne a novembre, La Posada riesce a fondere grandi numeri (300 i coperti), qualità e calore grazie a due brigate di cucina che lavorano in turni successivi sotto la guida dello chef executive Tota Giancaspro, e alla determinazione, condita al senso innato di ospitalità, di Severina, la figlia maggiore, ben espresso in iniziative “tourist-friendly” come l’aperitivo a buffet gratuito o il pranzo portato in spiaggia senza variazioni di prezzo.

Moltissime le proposte che valorizzano il pesce dell’Adriatico: imperdibili le generose fritture miste servite in cassettina di legno, il crudo di mare, il ricchissimo antipasto di pesce misto, il pescato freschissimo al forno con pomodorini e patate, gli spiedini di pesce, cozze e vongole alla marinara, gli strozzapreti con canocchie, gli stupendi spaghetti con ragù di sarde (piatto di stretta osservanza romagnola), con paste tutte fatte in casa e dosi extra-large.

Una cucina baritonale e terragna, anche quando è di mare, capace di fondere tradizione e nuove tendenze, avvalendosi della collaborazione di chef stellati. Insomma pesce fresco a gogò (senza dimenticare piadine e pizze) a prezzi più che onesti, in perfetto stile romagnolo. Ed è ancora all’estro della grintosa Severina che si devono iniziative capaci di trasformare la cena in un’esperienza a tutto tondo, come le serate di musica jazz e swing e, dal prossimo gennaio, il debutto di “Ridere di gusto”, serate di cabaret inaugurate da Gene Gnocchi con repliche ogni giovedì con rinomati cabarettisti.

Poco distante da Rimini, ma già in territorio marchigiano, vale sicuramente una visita (per chi non la conoscesse o volesse semplicemente riviverne l’incanto) la Rocca di Gradara, una delle fortezze meglio conservate del medioevo italiano, immortalata da Dante nei versi del V canto dell’Inferno che narrano la tragica fine dell’amore di Paolo e Francesca tra queste mura (per le visite guidate organizzate dalla Pro Loco: www.gradara.org.).

Il mastio, il torrione principale svettante sul mare, risale al 1150 ed è l’unico edificio a conservare, anche negli interni, il suo originario aspetto austero con pareti di nuda pietra e feritoie, come era d’altronde lo stile medievale, mentre l’attuale aspetto della fortezza con la doppia cinta muraria si deve alla famiglia Malatesta che dal XIII secolo fino al 1463 dominò la fortezza, teatro di scontri tra le più potenti famiglie dell’epoca (Borgia, della Rovere, Medici), ma anche dimora di personaggi famosi e controversi come Lucrezia Borgia.

Restaurata agli inizi del ‘900 per volontà dell’ingegnere Umberto Zanvettori, la Rocca sfoggia preziosi arredi e opere d’arte del XV e XVI secolo, tra cui l’inestimabile Pala di Andrea della Robbia in terracotta invetriata.

Anche a Gradara è d’obbligo l’appuntamento con la gastronomia locale, un esaltante ibrido tra cucina romagnola e marchigiana. Un felice saggio di questa cucina lo troviamo, nei pressi della Porta Nova, “Al Soldato di Ventura” (www.gradara.com/soldato), un locale piccolo (50 i coperti), ma sorprendente per la vivacità della proposta e l’ottimo rapporto qualità/prezzo, aderente anch’esso al circuito dell’Associazione Ristoranti Regionali - Cucina DOC, volta a valorizzare il legame con il territorio e il recupero delle tradizioni.

I titolari, Silvana e Claudio Bertolino, affiancati dai figli Claudia e Andrea, da anni perpetuano una cucina genuinamente e solidamente casalinga, caratterizzata da una felice commistione di piatti romagnoli e marchigiani. Da non perdere l’antipasto, a base di salumi di Ginestreto (crudo, lonza, salame, coppa di testa) serviti con fichi, melone e verdure grigliate, accompagnati da croccanti fornarine e piadine fresche di forno. Tra i primi, ardua la scelta tra cappelletti in brodo di cappone (marchigiani), strozzapreti ai funghi (romagnoli) e passatelli in brodo di pesce (romagnoli), con paste tutte tirate rigorosamente a mano. Strepitoso il coniglio farcito in potacchio, ricetta tipica marchigiana, sorta di coniglio in porchetta, servito con testa di porcino, gustose anche le costolette di ovino castrato a scottadito, il tutto annaffiato da Rosso Piceno e frizzantino biologico dei colli pescaresi.

Si chiude godendo dei dolci golosi di nonna Silvana, tra cui le deliziose meringhe con mandorle tritate, e la poetica cesta di frutta fresca alla Caravaggio. Godimento che fa il paio con quello della vista sull’altrettanto poetico litorale marchigiano e romagnolo.

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