Era una granata

La differenza fra una granata e una melagrana è evidente, ma non per tutti. Per esempio, non lo è stata per un giudice della corte d’Appello di Bari che due anni fa ha assolto in secondo grado Bassam Ayachi, predicatore islamico integralista, lasciandolo libero di dileguarsi, di stabilirsi a Molenbeek (il quartiere di Bruxelles dal quale sono partiti per Parigi molti assassini incappucciati) e di diventare l’ideologo dell’Isis. Il cattivo maestro numero uno.

La vicenda risale al 2008. Bassam Ayachi fu fermato in un camper nel porto di Bari con un ingegnere elettronico francese convertitosi all’Islam, che poi sarebbe morto in Siria combattendo per la bandiera nera dell’Isis. Ayachi era ricercato come cellula di Al Qaeda in Europa e con il camper stava facendo entrare clandestinamente in Italia dei complici. Durante l’inchiesta la polizia scoprì i suoi legami, e i flussi di denaro. Furono svelate le chat criptate per reclutare volontari destinati alla Jihad. Il predicatore fu condannato a otto anni di carcere e nei giorni della prigione fu intercettato mentre parlava di un attentato da organizzare all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi.

Però in Appello fu assolto per due motivi. Il primo, la presunta cattiva traduzione di una frase e una querelle in aula sulla parola granata o melagrana. Il secondo motivo è il convincimento del giudice che «non si può condannare nessuno per le sue idee, per quanto sembrino inaccettabili». L’ultima foto di Bassam Ayachi lo vede ritratto con un kalashnikov, circondato da guerriglieri e da bandiere nere. Chissà da quali fantasmi sono attraversati i sonni di quel giudice. Ce lo chiediamo - secondo la formula classica - anche in nome del popolo italiano.

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