Lo scrittore Dan Brown:
«Per scrivere mi alzo alle 4»

Si vede tutta Milano dalle vetrate della Terrazza Martini, ma gli occhi sono solo per Dan Brown, mister Best seller, 150 milioni di copie vendute in tutto il mondo – dieci solo in Italia – grazie a titoli come Il Codice da Vinci, Angeli e demoni, La verità del ghiaccio e Crypto. È la prima volta che l'americano di Exeter, New Hampshire, classe 1964, incontra la stampa italiana e la Mondadori non lesina in efficienza per presentare il suo scrittore di punta. Quasi cento giornalisti accreditati, fotografi e cameramen dappertutto mentre le hostess in divisa controllano gli inviti e indicano sorridenti il bar con caffé e pasticcini. Sembra di essere alla presentazione di un blockbuster hollywoodiano.

Il suo nuovo libro, Il simbolo perduto, era atteso da sei anni. Dopo il successo planetario del Codice da Vinci nel 2003, la sua uscita era stata programmata nel 2005, ma poi sono cominciati i rinvii, che non hanno affatto nuociuto alla suspense, anzi. Tanto più che Dan Brown non ama le interviste, e in questo periodo era praticamente scomparso. La sua casa editrice, Random House, ha organizzato una campagna di marketing che ha pochi precedenti nella storia editoriale. A meno di vivere sulla Luna, chiunque sapeva che il libro stava per uscire.

Il libro, in Italia, è uscito da più di un mese, ma Dan Brown è arrivato solo domenica. Giusto in tempo per visitare il Cenacolo leonardesco (protagonista del Codice da Vinci) e assistere alla prima della Scala, motivo principale della sua visita. Nel foyer ha commentato che il teatro del Piermarini (e la città di Milano tutta) sarebbe un ambiente perfetto per un libro, poi ha dichiarato il suo amore per la musica di Lucio Dalla, lui che prima di dedicarsi alla scrittura ha inciso quattro cd e ancora suona il pianoforte.

Ecco domande e risposte della conferenza stampa, moderata dal direttore generale Mondadori, Massimo Turchetta.

Mister Brown, per lanciare il suo nuovo libro in Italia contano di più le critiche dei cattolici o la benevolenza dei massoni? «Mi piacciono le controversie, senza dibattito è difficile progredire nella conoscenza. E all'indifferenza preferisco di gran lunga una sana polemica. Per me è importante stare sempre nel mezzo, in quella che io chiamo la zona grigia, evitando gli estremismi. Ci sono tonnellate di belle cose, pregevoli e importanti, nella Chiesa, ma come in ogni religione ci sono anche cose che possono diventare un rischio. Gli esseri umani sono fallaci».

Che cosa risponde alle osservazioni dei critici e degli storici sulla «veridicità» delle sue ricostruzioni? «Quando fai qualcosa di creativo – e non penso solo a uno scrittore, ma anche a un pittore, oppure a un cuoco – la tua più grande speranza è che tutti plaudano al tuo lavoro. Penso che la creatività abbia a che fare con il gusto. Non tutti possono amare quel che fai. Io scrivo per i lettori, ed a loro rispondo: sono loro che io considero i miei critici».

Questo suo nuovo romanzo «scava» nei «segreti» della massoneria. La massoneria non ne esce affatto male... «So che in Italia la percezione della massoneria è molto diversa da quella che abbiamo negli Stati Uniti».

Lei è affiliato? «No».

Le è stato proposto di affiliarsi? «Da noi i massoni non fanno reclutamento, ma mi è stato fatto capire che le porte sarebbero spalancate».

Accetterà? «I massoni richiedono un giuramento per non svelare i segreti. Peccato che a me, i segreti, piaccia rivelarli...».

Qual è il suo metodo di lavoro? Quali ore della giornata preferisce per scrivere? «Mi alzo tutti i giorni alle 4 del mattino e scrivo per sei, sette, anche otto ore al giorno. Appena sveglio, è quello il momento che preferisco per scrivere, perché confondo ancora un po' la realtà con il sogno, e per la mia creatività è il massimo».

Le fa paura la pagina bianca? «Sì. Per me, naturalmente, la pagina è lo schermo del computer. Ma ogni mattina quando fisso lo schermo bianco ho come un incubo. Mi dico che comunque va riempita e inizio a scrivere».

La sua «resa produttiva»? «È semplice. Guardate il volume del Simbolo perduto e sappiate che per ogni pagina che lo compone ne ho buttate via dieci».

È per questo che lavora così tanto? «Sì. Sette giorni alla settimana».

Lei ormai è un affermato scrittore di best seller. Avverte una sorta di «ansia da prestazione» quando inizia un nuovo libro? «Non è un mistero che dopo il successo planetario del Codice da Vinci sono andato via di testa per due, tre settimane. Fino a quando sono riuscito a mettermi tranquillo, e a dirmi che dovevo assolutamente ricominciare a scrivere con un'unica preoccupazione, la stessa che ho tuttora».

Quale? «Quella di scrivere i libri che vorrei leggere».

I suoi libri sono pieni di incursioni nella storia e nell'arte. Dedica molto tempo alla ricerca? «In pratica, il 50 per cento del mio lavoro consiste nella scrittura, e l'altro 50 per cento nella ricerca».

Si fa aiutare da qualcuno nelle ricerche, ha qualche assistente? «Sì, ho un assistente, preziosissimo. E anche molto fidato e devoto... visto che è mia moglie. Uno dei lati meno piacevoli della notorietà, è quello delle limitazioni cui è sottoposta la vita privata. Purtroppo, da quando sono conosciuto, non posso entrare nelle chiese o nei musei più famosi del mondo senza essere riconosciuto e circondato dall'attenzione della gente. In certe occasioni, se non ci fosse mia moglie a viaggiare per me...».

Nei film tratti dal Codice da Vinci e da Angeli e demoni, diretti dal regista Ron Howard, il protagonista Robert Langdon è interpretato da Tom Hanks. Quell'interpretazione ha condizionato in qualche modo il suo modo di vedere Robert Langdon, al momento di scrivere il nuovo romanzo? «Adoro Tom Hanks, è un attore di grande talento. Ma devo confessare che il 99,9 per cento del mio tempo lo passo a vedere il mio Robert Langdon sullo schermo del computer, cioè sul libro che sto scrivendo. Davvero, sinceramente, quando scrivo mi astraggo da tutto. Ho occhi solo per miei personaggi, e quando dico miei intendo proprio come li ho nella mia mente».

Le è piaciuto il film tratto dal Codice da Vinci? «Ron Howard è un regista di valore mondiale. Ha saputo cogliere il "nocciolo" del romanzo e al contempo imprimere alla pellicola lo stesso ritmo del libro».

I suoi primi libri non hanno venduto molto, anzi. Adesso vende milioni di copie in tutto il mondo. Che cosa direbbe il Dan Brown di oggi, scrittore ultra-affermato, al Dan Brown di tanti anni fa, cioè allo scrittore di non molto successo, squattrinato e snobbato dalle case editrici cui proponeva i suoi manoscritti? «Lavora sodo e sii paziente, il successo arriverà».
Marco Dell'Oro

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