Disastro del Gleno, errore o sabotaggio?
In un libro la tesi dell’attentato anarchico

A 92 anni dalla crollo che causò circa 500 morti, un libro in uscita da Mursia mette in discussione la tesi dell’errore tecnico. La ricostruzione, destinata a far dibattito, è firmata dall’avvocato Benedetto Maria Bonomo, sindaco di Colere e appassionato di storia locale.

Il penalista bergamasco ritiene che si possa parlare di sabotaggio, ipotesi che sarebbe stata insabbiata dai fascisti e che s’inserisce nella conflittualità sociale di quel periodo in Val di Scalve all’indomani della presa del potere dei fascisti. «Un attentato di matrice anarchica, che aveva un nucleo in Val Camonica. Un sabotaggio con l’obiettivo di svuotare la diga per renderla inoperante e invece quel sobbalzo è stato così potente da far crollare tutto», spiega Bonomo che dice di aver «trovato nuovo materiale negli archivi che non era stato portato a processo» e « riletto criticamente gli atti del dibattimento».

Dibattimento da cui emerse una ricostruzione diversa da quella proposta oggi da Bonomo. Nel luglio del 1927 il Tribunale di Bergamo condannò Virgilio Viganò, titolare della ditta costruttrice, e l’ingegner Giovan Battista Santangelo, responsabile tecnico, ritenuti colpevoli del disastro. Rappresentante legale di parte civile era l’avvocato Carlo Zilocchi «convintissimo che, a causare il crollo della diga, fossero stati gli imputati: la ditta Viganò e l’ingegner Santangelo, e una pessima, del tutto irrituale, conduzione dei lavori», spiega l’avvocato Carlo Salvioni, presidente del Comitato antifascista di Bergam. Conferma l’avvocato Claudio Zilioli, che allo studio di Zilocchi ha lavorato e si è formato: «Era senz’altro attendibile la tesi della parte civile. Avevano messo dentro terra, invece del cemento armato».

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