Assegno «piatto»
per le famiglie

La proposta dell’assegno «piatto» portata avanti dal Forum delle associazioni familiari e sottoposto all’attenzione di tutte le forze politiche è piuttosto sorprendente a un primo impatto: 150 euro per ogni figlio, con un importo crescente in rapporto al numero dei figli, indipendentemente da ogni reddito. Proprio così, chi ha un figlio fino a 18 anni, si tratti di un cittadino che guadagna 800 euro al mese o di un imprenditore che ne porta a casa 30 mila, riceverà 150 euro al mese. Ma come? Un assegno unico per chi fa figli per ricchi e poveri?

In un Paese in cui le tasse, giustamente, sono progressive? Come peraltro impone la Costituzione (l’articolo 53 recita che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività»). Ma è bene vedere la proposta: è molto meno sorprendente e iniqua di quanto sembri e anzi va in favore di chi sta peggio. Innanzitutto l’assegno familiare andrebbe a vantaggio anche di chi non lo prende oggi: i cosiddetti cittadini «incapienti» (coloro che dichiarano meno di 7.500 euro l’anno), disoccupati, lavoratori atipici, precari e altre categorie «escluse» dal bonus. Ma il punto focale della proposta è un altro: chi fa figli oggi in Italia, il Paese delle culle vuote, deve ricevere un riconoscimento dallo Stato e dalla collettività, indipendentemente se è ricco o povero. È una questione culturale, valoriale, chiamiamola come vogliamo, ma è indipendente dalla propria condizione sociale: la scelta di fare un figlio va premiata sempre e per tutti.

Oltretutto questa misura andrebbe a incidere positivamente soprattutto sul ceto medio, che è la classe sociale più danneggiata economicamente, quella che sta peggio di tutti. Non a caso l’assegno «piatto» vige in tutti i Paesi europei dove il Welfare funziona maggiormente, a cominciare dalla Francia. Un capofamiglia italiano con tre figli e 60 mila euro lordi di reddito percepisce assegni familiari per 106 euro al mese. Un tedesco che vive nelle medesime condizioni piglia cinque volte tanto.

Dunque l’assegno per tutti sarebbe una rivoluzione, poiché metterebbe la famiglia e il desiderio di avere figli al centro di una comunità, di uno Stato. In Italia – l’Italia di oggi dove ogni anno ci sono nel saldo nascite-morti quasi 200 mila bambini in meno – sarebbe una svolta epocale e andrebbe a incentivare la natalità. Ci servirebbe a uscire dall’impasse in un Paese dove gli assegni familiari sono bruscolini. Tra l’altro è recente un’inchiesta che ha rivelato che gli assegni distribuiti alle famiglie sono più bassi di quello che dovrebbero essere, poiché l’Inps ne distrae una parte destinandoli ad altri scopi. In bilancio sarebbe scomparso circa un miliardo di euro l’anno: ben sei miliardi e 163 milioni in 6 anni.

Ma soprattutto un assegno per ogni figlio slegato da ogni reddito e Isee significa rovesciare l’ottica con cui si guarda al Welfare in Italia, fare del capofamiglia un soggetto privilegiato proprio perché fa una scelta oggi coraggiosa: avere dei figli e contribuire a dare un futuro a un Paese per vecchi, il più anziano nel mondo dopo il Giappone. Ora la proposta deve fare il suo corso: pare che già in settimana si aprirà un tavolo con il Governo. Ma, almeno a parole, sembrano disponibili tutte le forze politiche. Forse l’aria è davvero cambiata in Italia a proposito di Welfare familiare. A meno che l’entusiasmo non derivi solo dal fatto che stanno per svolgersi le elezioni europee.

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