Fieri di questa
Italia: che lezione

L’indomito Berrettini battuto a Wimbledon con onore, gli azzurri in trionfo a Wembley dopo una battaglia conclusa ai rigori e 53 anni di attesa per rialzare la coppa europea. Londra chiama due volte e l’Italia risponde a testa altissima. È stata la domenica dell’orgoglio nazionale, con tutta la qualità che è scesa in campo. Due finali internazionali negli sport tra i più seguiti a livello mediatico (quella del tennis senza precedenti nella storia) quando ci ricapitano in un colpo solo? E poi questo è un anno particolare. Secondo le previsioni di dodici mesi fa, doveva ripartire subito a bomba, invece sappiamo che guerra ci ha fatto il Covid (e cerca ancora di tenere accesa). Solo da qualche settimana abbiamo riassaporato una quotidianità che assomiglia alla normalità. L’Europeo di calcio ci ha accompagnato in questa rinascita, non solo per la contemporaneità degli eventi ma perché ci ha dato una spinta a ritrovare l’entusiasmo perduto.

Il calcio e il tennis ovviamente non possono guarire le ferite più profonde lasciate dalla pandemia né possono rimettere insieme le macerie di chi ha perso lavoro, stabilità, certezze che parevano inattaccabili. Ma Mancini e i suoi magnifici azzurri, così come il coraggioso Berrettini, ci hanno regalato più di un sorriso e ci hanno dato una mano a recuperare la socialità che si era disgregata, oltre a una fierezza di essere italiani che troppo spesso smarriamo di fronte alle crisi e ai troppi difetti che contraddistinguono la vita e la macchina del nostro Paese e che fatichiamo troppo a correggere. I successi di una nazione uniscono e dovrebbero insegnare che l’applicazione, l’intelligenza, la competenza, il talento e il lavoro fatto come si deve pagano se tutti insieme vengono combinati e convogliati verso un obiettivo.

Roberto Mancini è il commissario tecnico che ha tutti questi requisiti e ha restituito alla maglia azzurra quella dignità, quel rispetto e quell’amore popolare che la gestione di Giampiero Ventura aveva incrinato. Che Mancini sia un uomo in gamba e un fuoriclasse del calcio lo aveva dimostrato prima ancora di prendere le redini della Nazionale. Col tempo è anche diventato saggio: la vena polemica del Mancini giocatore è ormai un lontano ricordo. Alla gente piace la sua misura, la sua comunicazione serena e rassicurante, sempre seguita dai risultati. E piace la sua eleganza. Ce ne accorgiamo noi, spettatori del suo calcio spumeggiante (che a Bergamo, ma non solo qui, vien da paragonare a quello di Gasperini), se ne rendono conto ancor prima i suoi collaboratori dello staff azzurro e i giocatori che hanno formato un gruppo affiatato e compatto, pienamente convinto della guida tecnica a cui è stato affidato.

Con queste basi è ora legittimo puntare a un grande Mondiale, non solo sognarlo. Non manca poi molto: a novembre e dicembre 2022 si va in Qatar.

Intanto, a noi bergamaschi questo Europeo ha gonfiato il petto due volte, perché mai avevamo visto tanti atalantini, non solo quelli che giocano con l’Italia, partecipare, e da protagonisti, a una competizione per nazionali del massimo livello come può essere un campionato continentale (a proposito, che ne dite dei nerazzurri alla Coppa America visto che qualcuno, come Romero e Musso, l’ha pure vinta?). Pessina, Gosens, Maehle – per citare i tre forse più in vista – ci hanno emozionato e hanno certificato a quali vette impensabili è salito il club nerazzurro in questi anni.

Anche Matteo Berrettini è un po’ speciale dalle nostre parti, visto che vinse il prestigioso Challenger di Bergamo nel 2018. Oggi è il massimo esponente di un tennis italiano che – anche grazie a giocatori in ascesa come Jannik Sinner, Lorenzo Sonego e Lorenzo Musetti – sta rialzando prepotentemente la testa. Prepariamoci ad altri traguardi. Berrettini l’ha promesso dopo la sconfitta, combattutissima, con Djokovic: «Per me questa non è la fine, ma l’inizio di una carriera». Forza, Italia: impara qualcosa dai nostri azzurri.

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