Grave errore il no al Mes
per dire no all’Europa

Sono trascorsi più di due mesi dall’accordo di aprile col quale i Paesi europei hanno convenuto sulla messa in campo di un nuovo Mes, denominato «Pandemic Crisis Support» (Pcs). Uno strumento di prestiti fino al 2% del Pil (2019), che per l’Italia vale 35,7 miliardi e che può salire fino a 40 miliardi. Il tasso d’interesse è dello 0,08% su scadenza a 10 anni, il che farebbe risparmiare all’Italia circa 4,8 miliardi rispetto all’emissione di propri Bond. La sola condizione prevista da questa nuova, provvidenziale forma di prestito è che venga usato per «spese sanitarie, dirette e indirette», destinate a rafforzare la sanità su tutto il territorio nazionale. Si tratta dunque di una nuova formula di sostegno economico che accresce la spesa sociale e che non ha nulla a che vedere con il Mes posto in essere per Spagna e Portogallo e per il salvataggio della Grecia. Quest’ultimo, infatti, prevedeva forti correzioni di bilancio, con una drastica diminuzione della spesa. Per di più, sarebbe già possibile attingere al Pcs, essendo stata accertata la sostenibilità del nostro debito.

Appare dunque abbastanza incomprensibile e piuttosto sconfortante che sull’utilizzo del Pcs sia in corso nel nostro Paese un così aspro dibattito. Favorevoli al suo utilizzo sono Pd e FI, mentre M5S, Lega e Fdi manifestano forti contrarietà, avanzando la preoccupazione che le condizioni del vecchio Mes possano essere riproposte durante l’utilizzo del prestito. I detrattori sostengono che per questa ragione Germania, Francia, Portogallo, Spagna e Grecia non lo utilizzeranno. Si ignora di considerare, più o meno capziosamente, che Germania e Francia sono in condizione di accedere al mercato godendo di un tasso negativo o vicino allo zero e che il rendimento del bond decennale di Portogallo e Spagna è dello 0,45%. Da qualche tempo, peraltro, anche il rendimento del bond greco è sensibilmente più basso di quello italiano. Viene così da pensare che l’opposizione all’utilizzo del Pcs abbia origini più che altro pretestuose, legate a un malcelato antieuropeismo che si manifesta sotto mentite spoglie proprio mentre la Bce ha notevolmente aumentato i suoi interventi e l’Europa si apre alla solidarietà con stanziamenti straordinari garantiti da tutti i Paesi. Nel caso di Matteo Salvini, poi, questo antieuropeismo assume aspetti ancor più marcati, come testimoniano suoi recenti interventi e la riconferma a responsabile economico della Lega di Alberto Bagnai, che ipotizza da tempo il ritorno alla Lira. Nel bel mezzo di tale dibattito s’inserisce la posizione ondivaga del Premier Conte che, vittima dei veti del M5S, ha preferito barcamenarsi tra commissioni di esperti e intempestivi «Stati generali», piuttosto che impegnarsi personalmente all’elaborazione di un piano organico di utilizzo del Pcs che prevedesse alcuni importantissimi, specifici investimenti: nella digitalizzazione del settore sanitario; nella ricerca; nella medicina territoriale e nella medicina di base; nella modernizzazione di molti piccoli e grandi ospedali; nella messa in sicurezza dei posti di lavoro; nella realizzazione d’interventi diffusi di edilizia scolastica.

Con un simile bagaglio di proposte concrete il nostro Presidente del Consiglio avrebbe potuto presentarsi in Parlamento chiedendone l’approvazione e mettendo in serie difficoltà, sia sul piano politico che propagandistico, le forze antitetiche. Avrebbe inoltre avuto l’opportunità di presentarsi all’incontro dei Capi di Governo europeo previsto per il 17 e 18 luglio, ove si affronterà la complessa trattativa per il Recovery Fund, dando prova della determinazione operativa del nostro governo. Se tutto andrà bene, i 176 miliardi del Recovery Fund saranno disponibili solo nei primi mesi del prossimo anno. Nel frattempo, s’impone la necessità e l’urgenza di effettuare grandi investimenti che sarebbero possibili solo beneficiando delle risorse del Pcs. Invece, con disarmante noncuranza verso le condizioni del Paese e di tante famiglie italiane, la decisione sul Pcs è stata rinviata, ponendo di fatto le condizioni perché si consolidino in Parlamento le posizioni contrarie al nuovo prestito.

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