La chiusura del gasdotto e l’economia europea

È un’economia di guerra quella che segue la chiusura del gasdotto North Stream 1. Un tubo sottomarino di 1.220 chilometri che unisce la Russia nord occidentale alla Germania. Voluto dal governo rosso-verde dell’allora cancelliere Gerhard Schröder alla fine degli anni Novanta, è nato per dare linfa energetica a quelli che allora si definivano «i migliori produttori di automobili al mondo».

Vladimir Putin l’ha messo per dieci giorni in stato di manutenzione. Poi si vedrà. Il risultato è che in Germania si preparano ad un inverno buio e freddo. Le temperature in questi giorni al Nord viaggiano sui 17 gradi e in alcune abitazioni è scattato il riscaldamento. Vonovia è un gigante che gestisce decine di migliaia di appartamenti, spesso a carattere di assistenza sociale, cioè per famiglie meno abbienti. Da ieri ha deciso che per il teleriscaldamento la notte non si va oltre i 17 gradi. Un risparmio dell’8% sui costi di riscaldamento. Il comune di Amburgo annuncia il razionamento dell’acqua calda in fasce d’orario diurne. Colonia riduce l’illuminazione pubblica al 70% mentre nelle piscine pubbliche all’aperto di diverse città tedesche la temperatura dell’acqua viene abbassata. L’obiettivo è contribuire al riempimento dei depositi di gas attualmente al 63%.

Per fine settembre vanno portati al 90%. La Germania è con le spalle al muro e dopo la riattivazione delle centrali a carbone l’energia elettrica arriva adesso anche dalle centrali nucleari dell’Ucraina. Anche per un governo ambientalista nel bisogno l’economia viene prima dell’ambiente. È iniziata la campagna di responsabilizzazione della popolazione per ridurre il consumo di energia. Lo stato di emergenza va preparato anche psicologicamente. Per il resto basteranno i prezzi della bolletta della luce e del gas per indurre gli utenti al risparmio. Le restrizioni porteranno ad un calo della produzione e quindi a contraccolpi sull’occupazione.

Lavoratori senza certezze per il futuro con costi di bolletta difficili da sostenere scuotono alle fondamenta un sistema che ha avuto come suo baricentro la distribuzione equa del benessere. È certamente anche il caso italiano. Gli stoccaggi procedono bene anche per gli accordi presi con Algeria, Egitto e altri Stati africani e del Medio Oriente ma Gazprom ha ridotto all’Italia le forniture di gas da 32 a 21 milioni di metri cubi/giorno e anche a Roma si comincia a parlare di austerity. In Italia gli inverni sono meno duri e lunghi che nel Nord Europa e quindi la strategia del governo italiano è mirata ad impedire che la diminuita offerta di gas russo si ripercuota sulle attività produttive. Il mantra del governo Draghi è la crescita e questa verrebbe certamente intaccata dalla crisi energetica ma non al punto da azzerarla.

Rimane il problema di fondo. Ovvero se le società europee siano pronte a così forti rinunce in nome di una guerra che a molti appare estranea. Lo registra anche il ministro delle finanze ucraino Serhiy Marchenko in un’intervista ad un giornale italiano. Si aspettava 9 miliardi dall’Unione europea e non ne è arrivato che uno in questo mese. L’esponente politico ucraino lamenta uno scarso impegno e pensa che molti Stati dell’Ue non siano pronti a sostenere sino in fondo l’Ucraina sul piano finanziario.

Sembra che la visita a Kiev della triade Scholz, Macron, Draghi abbia suscitato ironie e battute sui social ucraini. Del resto i sondaggi parlano chiaro. Nell’Ue la grande fetta dell’opinione pubblica considera le sanzioni contro la Russia più un danno per l’Occidente che per Putin. Per gli ucraini solo Boris Johnson mantiene la parola. Ma non è più primo ministro di Sua Maestà.

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